Qualsiasi proposta sul fair share è prematura. In una lettera inviata al commissario a Mercato interno, Thierry Breton, lo scorso 4 agosto il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, ha chiesto di rinviare qualsiasi tipo di iniziativa in attesa di prove e dati certi.
“Qualsiasi proposta così com’è è prematura”, scrive Butti avvertendo che “un contributo diretto da parte dei fornitori di contenuti rischia di creare una situazione in cui gli operatori di telecomunicazioni utilizzano il loro potere di mercato e la loro posizione sul fronte dell’accesso dei clienti”. E questo potrebbe essere controproducente e creare un “circolo vizioso di prezzi più alti”.
Lo studio della Commissione Ue
L’esecutivo europeo ha pubblicato uno studio il mese scorso secondo cui servirebbero almeno 174 miliardi di euro per raggiungere gli obiettivi previsti dal Decennio Digitale. Ma i numeri per l’Italia non sono corretti, ha sottolineato Butti nella missiva, aggiungendo che il governo italiano non è mai stato consultato.
Il sottosegretario ha sottolineato che in Italia le risorse pubbliche sono già disponibili per affrontare eventuali carenze del mercato, come, ad esempio, nelle aree rurali. “I soldi ci sono, ma gli operatori non stanno facendo il loro lavoro nei tempi previsti”, ha scritto.
Infine Butti ha chiesto alla Ue di considerare i risultati della consultazione pubblica, lanciata dalla stessa Commissione, e di ascoltare le posizioni dei vari governi nazionali prima di prendere qualunqie decisione in merito.
Non è la prima volta che l’esponente del governo Meloni esprime dubbi sull’efficacia del fair share. Intervenendo a Telco per l’Italia, evento Corcom-Digital360, Butti ha spiegato che questa tassa potrebbe determinare un aumento dei prezzi, limitando la scelta dei consumatori. E in ultima analisi frenare la digitalizzazione.
Secondo Butti si potrebbe andare a creare “un circolo vizioso di prezzi più alti, minore attrazione, minore scelta e minore utilizzo, che in ultima analisi significa minore domanda di reti ad altissima capacità (Vhcn), lasciando gli operatori telecom con reti in fibra inattive”.
“Gli Ott sono presentati come generatori di traffico improprio, senza verificare se tale ipotesi sia effettivamente corretta. E in realtà è un’ipotesi non corretta – ha sottolineato – Il traffico è richiesto dagli utenti degli operatori telecom, non dagli Ott stessi. Inoltre, si presuppone erroneamente che i costi di investimento nella rete siano direttamente correlati alla crescita del traffico. E anche questo non è fondato nel caso delle reti in fibra”.
“Infine, se dovesse scattare la ‘tassa sulla rete’, avremmo delle zone franche, come Tv via cavo e satellite, che sarebbero escluse dal nuovo regime di tassazione di rete. In tal caso le piattaforme degli Ott si potrebbero agevolmente rivolgere alla distribuzione via satellite, (oggi in condizione di offrire ampiezze di banda ragguardevoli e capaci di trasmettere in 4K e addirittura in 8K), con l’annullamento degli sforzi sin qui fatti per spostare tutti i contenuti sulla fibra, per renderla appetibile agli occhi dei consumatori”.
“Una tassa su internet – ha puntualizzato – in ultima analisi sfavorirebbe gli investimenti nella digitalizzazione e gli operatori attivi in Europa. E poi come si potrebbe far pagare la tassazione? Abbiamo tre scenari: sostenere la tassa su internet, rigettarla in toto, scegliere di approfondire il tema per fare scelte oculate. Le prime due opzioni, secondo me, rischiano di avere un approccio ideologico, approfondire non è una scelta pilatesca ma può aiutare ad assumere qualsiasi tipo si scelta”.
No comment da Bruxelles
La Commissione europea non commenta la richiesta del sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti di sospendere i piani per introdurre una ripartizione dei costi di uso della rete tra gli operatori di telecomunicazione e i fornitori di contenuti online, confermando solo di aver ricevuto la lettera inviata da Butti al riguardo. La Commissione Ue, spiega un portavoce, “ha un’agenda digitale ambiziosa” dove il “fattore abilitante” è “la performance della sua infrastruttura di connettività”.
“Dobbiamo quindi aumentare gli investimenti per reti più moderne e più resistenti in tutta l’Ue”, aggiunge, ricordando la consultazione esplorativa avviata sul futuro della connettività in cui si sonda anche il tema della “potenziale necessità di un meccanismo per un ‘contributo equo’ ai costi di rete”. “Nelle prossime settimane verrà presentata una relazione sintetica delle risposte alla consultazione”, spiega quindi il portavoce. “La riapertura delle norme Ue sulla neutralità della rete non è mai stata un’opzione”, precisa.
Il piano della Ue
In un’intervista a Les Echos nelle scorse settimane il commissario Breton ha delineato la strategia Ue, ribadendo la necessità che gli Ott contribuiscano allo sviluppo delle reti di Tlc, evidenziando però che non c’è nessuna volontà di aprire un conflitto tra telco e Big Tech.
“Il contributo delle aziende tecnologiche – ha detto Breton – è legittimo ma non può che essere trattato dentro un contesto più ampio che andremo a definire. E non voglio mettere gli attori interessati l’uno contro l’altro”.
E’ necessaria dunque una risposta politica alla questione. “Serve un Telecoms Act – ha annunciato Breton – che sarà vettore della politica industriale dei prossimi 20 anni. Lo abbiamo già fatto per il mercato dei semiconduttori, con il Chips Act oppure, per la regolamentazione dei mercati digitali con il Digital Services Act e il Digital Markets Act”.
La legge che sarà presentata in autunno avrà tre obiettivi:
- promuovere l’R&S nel settore delle Tlc;
- definire di un quadro legislativo per un mercato unico delle telecomunicazioni nell’Ue;
- sostenere la nascita di operatori paneuropei.
Questo quadro legislativo sarà la base per garantire alle aziende di telecomunicazioni un ritorno sui loro investimenti.
Il voto del Parlamento Ue
Intanto il Parlamento Ue ,nella plenaria del 13 giugno, si è espresso a maggioranza a favore di una risoluzione a sostegno del principio senders-pay, ovvero chi manda traffico sulle reti paga.
In pratica, il Parlamento europeo dice sì alla richiesta di istituire “un quadro politico in cui i grandi generatori di traffico contribuiscano equamente al finanziamento adeguato delle reti di telecomunicazioni, fatta salva la neutralità della rete”.
La relazione annuale sulla concorrenza presentata al Parlamento europeo parla della necessità di un approccio di fair share, o equa partecipazione ai costi, soprattutto ora che l’Ue è impegnata a raggiungere gli obiettivi di connettività del Digital Compass 2030. Entro il 2030, tutte le famiglie dell’Ue dovrebbero avere connettività gigabit e tutte le aree popolate dovrebbero essere coperte dal 5G.
La misura senders-pay
Il principio senders-pay accoglie la posizione dei grandi operatori delle reti di telecomunicazione, secondo cui le aziende big tech generano la maggior parte del traffico e raccolgono la maggior parte dei benefici dell’economia di Internet senza pagare i costi delle reti che trasportano quel traffico.
Il principio, basato sul cosiddetto fair share, è stato sostenuto fin dal maggio 2022 dal commissario per il mercato interno Thierry Breton. La Commissione europea ha, poi, avviato una consultazione pubblica nel febbraio 2023 per verificare le posizioni dei diversi interlocutori e la percorribilità di un contributo degli over-the-top ai costi della rete.
Le spaccature nel Consiglio Ue
Ovviamente il principio del fair share ha i suoi detrattori, a partire dalle big tech. Ma anche le organizzazioni della società civile sono critiche, temendo che la proposta sia contraria alla neutralità della rete in quanto richiederebbe di identificare chi genera il traffico internet e qual è la tipologia di traffico generato.
Anche i regolatori delle telecomunicazioni riuniti nel Berec hanno espresso un parere negativo, convinti che l’intervento normativo non sia necessario, perché l’ecosistema di Internet ha mostrato la capacità di adattarsi in passato.
Ma soprattutto, nel Consiglio dei ministri dell’Ue permangono le spaccature su un’eventuale proposta della Commissione europea per “tassare” le big tech. Alla riunione del Consiglio delle telecomunicazioni del 2 giugno, molti paesi dell’Unione hanno chiesto cautela. Al contrario, convinti sostenitori del fair share sono Francia e Spagna, da sempre vicini alle posizioni di Breton.