“Stiamo lavorando sugli obblighi deontologici del web perché se il nostro dipartimento sostiene l’informazione lo fa in un’ottica di responsabilità reciproca: il finanziamento pubblico deve servire nel mondo digitale per migliorare le norme e i comportamenti virtuosi affinché possano aumentare la reputazione dell’informazione e non farla decrescere”. Lo ha annunciato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria, Alberto Barachini, in occasione della presentazione al Senato del terzo rapporto Ital Communications-Censis dal titolo “Disinformazione e fake news in Italia. Il sistema dell’informazione alla prova dell’Intelligenza Artificiale”. Rapporto che disegna un panorama sempre più conflittuale nel mondo dell’informazione italiana. Stando al rapporto il 76,5% degli italiani ritiene che le fake news siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte.
Come (e dove) si informano gli italiani
Stando al rapporto cresce la consapevolezza degli effetti devastanti della disinformazione, che può essere arginata da professionisti della comunicazione – si legge nel documento – accreditati come fonti autorevoli e garanti dell’affidabilità e della qualità delle notizie. Di fronte alle insidie che possono venire dal web e dall’utilizzo dell’Intelligenza artificiale, per distinguere la buona dalla cattiva informazione servono competenze solide sulle nuove tecnologie e regolazioni più stringenti.
Secondo il rapporto cresce il bisogno di informazione, soprattutto online. Oggi circa 47 milioni di italiani, il 93,3% del totale, si informa abitualmente su almeno una delle fonti disponibili, l’83,5% sul web e il 74,1% sui media tradizionali. Sul versante opposto, sono circa 3 milioni e 300mila (il 6,7% del totale) gli individui che hanno rinunciato ad avere un’informazione puntuale su ciò che accade, mentre 700.000 italiani non si informano affatto.
Il 64,3% degli italiani utilizza un mix di fonti informative, tradizionali e online, il 9,9% si affida solo ai media tradizionali e il 19,2% (circa 10 milioni di italiani in valore assoluto) alle fonti online. Social media, blog, forum, messaggistica istantanea sono espansioni del nostro io e del modo di vedere il mondo: è il fenomeno delle echo chambers, cui sono esposti tutti quelli che frequentano il web e soprattutto i più giovani, tra i quali il 69,1% utilizza la messaggistica istantanea e il 76,6% i social media per informarsi. Il 56,7% degli italiani è convinto che, di fronte al disordine informativo che caratterizza il panorama attuale dell’informazione, sia legittimo rivolgersi alle fonti informali di cui ci si fida di più.
Fake news tra negazionisti e “insicuri”
Aumentano paure e timori di non essere in grado di riconoscere disinformazione e fake news. Il 76,5% degli italiani ritiene che le fake news siano sempre più sofisticate e difficili da scoprire, il 20,2% crede di non avere le competenze per riconoscerle e il 61,1% di averle solo in parte. Ma ci sono anche i negazionisti: il 29,7% della popolazione nega l’esistenza delle bufale e pensa che non si debba parlare di fake news, ma di notizie vere che vengono deliberatamente censurate dai palinsesti ufficiali che poi le fanno passare come false. Il riscaldamento globale è un argomento di cui si parla tanto e in modo confuso, alimentando cattiva informazione, catastrofismo e persino negazionismo.
Il 34,7% degli italiani è convinto che ci sia un allarmismo eccessivo sul cambiamento climatico e il 25,5% ritiene che l’alluvione di quest’anno sia la risposta più efficace a chi sostiene che si sta progressivamente andando verso la desertificazione. I negazionisti, che sono convinti che il cambiamento climatico non esista, sono il 16,2% della popolazione. Gli individui più fragili, vale a dire i più anziani e i meno scolarizzati, sono quelli che appaiono più confusi e meno in grado di comprendere il problema nella sua complessità.
Come si evince dal Rapporto inoltre, il 75,1% della popolazione ritiene che con l’upgrading tecnologico verso l’Intelligenza artificiale sarà sempre più difficile controllare la qualità dell’informazione, mentre per il 58,9% l’AI può diventare uno strumento a supporto dei professionisti della comunicazione. Le agenzie di comunicazione, dove lavorano oltre 9.000 professionisti, si sono adattate ai cambiamenti che la vita digitale ha imposto al mondo della comunicazione, ampliando le competenze di chi ci lavora e creando nuove figure a presidio del web. Il risultato è che nell’ultimo anno i professionisti della comunicazione sono aumentati dell’11,3%.
Servono professionisti dell’informazione
“Tanto opinionismo e poca informazione generano confusione e notizie false – dichiara Giuseppe De Rita, presidente Censis – lo hanno dimostrato il Covid prima, la guerra poi e oggi il riscaldamento climatico. Gli italiani hanno bisogno di una rete di professionisti dell’informazione di cui fidarsi, che li aiutino anche ad avere maggiore consapevolezza di come riconoscere fonti e notizie di qualità”.
“Il terzo Rapporto Ital Communications-Censis- aumenta Domenico Colotta, Founder Ital Communications – offre uno spunto di riflessione sull’Intelligenza artificiale, che rappresenta una grande opportunità per il futuro, in tutti i campi. Occorre tuttavia che, nel contrasto alle fake news, le sue potenzialità vengano sfruttate unitamente alle abilità umane, in modo da dare un efficace supporto al lavoro dei professionisti della comunicazione. Solo in questo modo si può realizzare una comunicazione affidabile, fondata su fonti verificate e che sia capace di salvaguardare la fiducia nei media e nelle istituzioni”.
“Chi fa comunicazione con professionalità e autorevolezza- conclude Attilio Lombardi, Founder Ital Communications – in un mondo complesso e profondamente mutato come quello di oggi, non deve rinunciare alla serietà e alla veridicità delle notizie da veicolare. Il rapporto rileva l’importanza di una comunicazione responsabile e in grado di contrastare la disinformazione, anche attraverso lo sviluppo di valide competenze che sappiano governare i cambiamenti e tutelare i cittadini e le istituzioni dai danni sociali, economici e democratici derivanti da una comunicazione non veritiera”.
Puntare su formazione e qualità
“I dati che emergono da questa analisi sono allarmanti. Formazione e qualità sono due aspetti fondamentali per garantire una corretta informazione. Il legislatore deve normare tale materia. In tal senso, con il Rapporto di oggi state tentando di fare una buona politica comunicativa, cioè iniziare a formare delle agenzie di comunicazione efficienti”. Lo ha dichiarato Roberto Marti, Presidente della Commissione Cultura e Patrimonio Culturale, Istruzione Pubblica del Senato della Repubblica. Mentre secondo Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede “occorre essere consapevoli del fatto che la verità nella comunicazione è qualcosa che bisogna conquistare e garantire. In un mondo dominato dall’intelligenza artificiale noi stakeholders della comunicazione dobbiamo mettere in atto un sistema che, partendo dal basso, sia in grado di rinegoziare le regole per salvaguardare una corretta e trasparente informazione”.
Lavorare sulla prevenzione delle fake news
“L’intervento che si può fare per ostacolare la diffusione di fake news e di disinformazione è quello di costituire un argine – dice Ivano Gabrielli, Direttore Polizia Postale -. Lo strumento penale tuttavia è limitato. Dal rapporto emerge che gli italiani e in particolare i giovani si rifugiano nelle piattaforme di comunicazione. È fondamentale, dunque, lavorare sulla prevenzione al fine di far prevalere una corretta informazione per agevolare l’opinione pubblica”.
Mentre per Roberto Zarriello, Segretario Generale Assocomunicatori, “occorre colmare il gap sulle competenze digitali che attanaglia il nostro Paese. Bisogna investire sulla formazione dei giovani, sia in ambito scolastico che in quello accademico. Non possiamo più permetterci di avere in Italia un numero così basso di laureati nelle materie Stem e un così alto numero di Neet tra i ragazzi. Allo stesso modo, le aziende necessitano di specialisti nel campo delle Ict che non riescono a trovare. Investire sull’educazione e la formazione digitale, anche utilizzando bene i fondi del Pnrr, deve essere una priorità per il sistema-Paese”.