Internet non è una zona franca: questo il principio fondante del disegno di legge contro le fake news depositato al Senato (firmatari i senatori Gambaro, Mazzoni, Divina e Giro) e presentato alla stampa il 15 febbraio scorso. Il Ddl si propone obiettivi ambiziosi, ovvero garantire la trasparenza sul web, prevenire la manipolazione dell’informazione online, incentivare l’alfabetizzazione informatica dei giovani.
Sul testo, però, va compiuta una attenta valutazione. In primo luogo, la norma introduce figure di illecito penale – quali la pubblicazione o diffusione di notizie false attraverso piattaforme informatiche – che appaiono in realtà difficilmente perseguibili, sia per la tenuità delle sanzioni, sia perché ai potenziali autori materiali degli illeciti si continua a garantire un sostanziale diritto all’anonimato. Infatti, il contrasto all’anonimato e la garanzia di trasparenza vengono perseguiti ponendo obblighi esclusivamente in capo ai c.d. amministratori dei siti internet (blog, piattaforma telematica, forum), i quali sono da un lato tenuti a trasmettere i propri dati al tribunale territoriale competente, dall’altro a rendere fruibile a tutti gli utenti un indirizzo di posta elettronica certificata, cui rivolgere eventuali richieste di rettifica e segnalazioni. Tuttavia, fermo restando che al momento non sono previste sanzioni per l’inosservanza di tali obblighi, resta il fatto che il dovere di trasparenza rende tracciabili gli amministratori dei siti, ma non gli autori materiali degli scritti.
Da un punto di vista prettamente tecnico, tra l’altro, si rileva una certa confusione nella definizione dei soggetti intermediari: il disegno di legge non si coordina in alcun modo con la normativa speciale, in particolare con il d. lgs. n. 70/2003. A tal proposito, basti considerare che la norma fa riferimento, alternativamente, agli amministratori ed ai gestori del sito o della piattaforma, senza chiarire cosa con ciò debba intendersi e, soprattutto, lasciando seri dubbi circa il coinvolgimento di quei fornitori di servizi che sarebbero effettivamente in grado di intervenire con efficacia, come, ad esempio, i grandi aggregatori di contenuti. Con il rischio di vanificare gli spunti migliori della proposta, quali le previsioni di obblighi di monitoraggio e rimozione, nonché di trasparenza, che assumerebbero una forza maggiore, evidentemente, se posti in capo ai soggetti giusti.
Senza considerare che già oggi, sulla base della normativa vigente, l’intermediario che ospita contenuti illeciti pubblicati da utenti è responsabile delle informazioni veicolate se controlla tali informazioni o se, posto a conoscenza della natura illecita delle informazioni, non interviene rimuovendole o impedendo l’accesso ad esse.
Peraltro, nell’ottica di evitare una eccessiva frammentarietà del quadro legislativo, sarebbe opportuno che le finalità perseguite e gli stessi contenuti del testo in questione trovassero un coordinamento con analoghe iniziative all’esame del Parlamento. Ci si riferisce, in particolare, al disegno di legge n. 1119-B recante “Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale”, il quale interviene in ambiti analoghi, se non identici, a quelli del DDL Gambaro, avendo ad oggetto anche le ipotesi di diffamazione ed ingiuria commesse in internet, tramite testate giornalistiche on line.
Sarebbe senz’altro auspicabile, in pratica, che la materia venisse regolata in modo organico e coerente, magari tramite un unico testo legislativo, al fine di scongiurare sovrapposizioni e contrasti.