Falciasecca: “Fibra e torri, non ci si fermi alle alchimie finanziarie”

Il presidente della Fondazione Guglielmo Marconi: “Le Tlc tornano al centro della scena politica. Ma non basta, servono azioni concrete anche sul fronte legislativo”

Pubblicato il 04 Mar 2015

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Dopo anni in cui le telecomunicazioni avevano gli onori della cronaca soprattutto per evidenziare negatività e problemi, oggi tutti i media dedicano grande attenzione al settore per metterne in evidenza il valore e le prospettive: ciò è assai positivo. Chissà forse avremo anche qualche vocazione in più per i nostri corsi universitari in telecomunicazioni ormai asfittici. La battaglia per l’Italia turrita e le iniziative sulla banda ultralarga fanno capire che ci sono dei valori in gioco, in parte prima trascurati e investimenti decisivi per il sistema paese. E’ anche significativo che la rinascita parta dal vecchio hardware, fibre e tralicci, dopo che il valore sembrava essersi attestato soltanto agli estremi delle reti e colto dagli Ott. Spero solo che il tutto non si fermi da un lato alle alchimie finanziarie e dall’altro agli spot politici.

A margine delle tante considerazioni che abbiamo sentito e letto, è però opportuno aggiungerne altre per evitare che si pensi solo in termini economici e organizzativi santificando i fogli excel. E’ necessario dire con chiarezza che il mestiere di chi gestisce le “torri” per la diffusione televisiva assomiglia a quello di chi fa una operazione analoga con i tralicci per le reti cellulari, ma è significativamente diverso.

Nel primo caso, dopo che è tramontata l’idea di raggiungere in broadcasting direttamente i dispositivi degli utenti in strada o negli appartamenti, la modalità di copertura, al di là dei vantaggi offerti dal digitale terrestre, è sostanzialmente ritornata quella tradizionale. Impianti trasmittenti alti per poter avere una area di copertura naturale ragguardevole, antenne riceventi sui tetti con ostruzioni di percorso il più possibile ridotte. Esaminando il paese è possibile – ed è stato già fatto dal ministero – individuare i siti più convenienti e disegnare una rete ottimizzata usando algoritmi di propagazione non particolarmente sofisticati data la situazione favorevole.

Una forte sinergia tra i diversi possessori di impianti è relativamente agevole, anche se i tecnici dovranno lavorare per evitare disservizi, onerosi cambiamenti di puntamento delle antenne riceventi, coperture di gap inattesi teoricamente, soddisfacimento di diversi obiettivi di servizio ecc. Un riferimento unico è quindi ipotizzabile, sperando che le sinergie non siano solo quelle di ridurre il personale tecnico che al contrario rimane ancor più necessario. Ma non c’è dubbio che i risparmi potrebbero essere interessanti sul piano della manutenzione, dell’energia ecc. Non spetta certo a me indicare la governance di una siffatta struttura: mi limito a dire che vedrei pericoloso se il pubblico non avesse una qualche forma di controllo strategico per l’importanza di questa e di altre infrastrutture per il paese. E non dimentichiamo che se alla fine ci si è trovati un tesoretto è perché Raiway è stata guidata in questi anni in modo egregio.

Venendo ora alle reti cellulari, mi permetterete di ricordare alcune cose di un passato che sembra ormai lontano ma che in effetti è totalmente attuale. Quando, il governo decise nel 1993 di avviare le procedure per aprire ai privati il settore venne dato l’incarico ad una commissione del Consiglio Superiore PT – detta Commissione Cappuccini – di analizzare le migliori condizioni perché si avviasse una vera concorrenza nonostante il peso dell’incumbent Sip. Io ne facevo parte e ricordo che in un primo giro di audizioni degli interessati una domanda precisa fu: volete realizzare una rete autonoma o si può pensare di averne una per tutti dove poi ognuno svilupperà i propri servizi? La risposta fu unanime, con la sola eccezione di SIP: una rete proprietaria è essenziale per assicurare la qualità del servizio e una vera competizione. Così si svilupparono ripetutamente reti parallele e l’elemento qualità fu davvero importante, in particolare nel momento in cui le reti si occuparono di assicurare capacità avendo garantito già sostanzialmente la copertura. In questo caso per ottenere risultati di propagazione attendibili nelle varie situazioni sono stati usati algoritmi di calcolo più sofisticati e ancora oggi ci sono studi per migliorali.

Ricordo tentativi, anche personali, di realizzare accorpamenti su tralicci in siti messi a disposizione dai comuni. Queste soluzioni non venivano ben viste. Poi, quando la concorrenza iniziò a svilupparsi praticamente solo sui prezzi, non puntando su servizi realmente innovativi, la condivisione di siti cominciò a realizzarsi spontaneamente, per ridurre i costi. Contemporaneamente gli operatori hanno sempre più affidato ai costruttori il compito di progettare le reti. Ma in vista di una ripresa di servizi innovativi, come il 5G ci consentirà di fare, non c’è dubbio che il controllo della infrastruttura di rete ritornerà ad essere strategico. Mi riesce difficile immaginare un outsourcing dell’infrastruttura nel momento in cui l’operatore ha in animo di introdurre servizi mission critical, migliori coperture di interni, sinergie col WI FI, fentocelle ecc. In campo sanitario, ad esempio, non sono ammesse perdite di collegamenti per problemi di gap di coperture o altro. E la cosiddetta “Internet delle cose” ci riserverà varie sorprese di cui eventualmente tratterò in un altro momento. La qualità che deve essere assicurata non può che essere sotto la responsabilità dell’operatore cui sconsiglierei vivamente di demandare troppo al di fuori. Una limitata condivisione di una struttura di base non è impossibile, ma si tratterebbe di uno zoccolo duro su cui poi il singolo operatore dovrebbe aggiungere una parte dedicata. Quindi attenzione a capire dove si può affidare ad altri e dove invece serve un impegno diretto. Miopie non sono ammissibili se il business lo si vuole sviluppare davvero.

Con obiettivo simile va interpretata la preoccupazione espressa nella Gsma per una interpretazione ideologica della net neutrality. Siamo all’estremo rispetto alle infrastrutture, ma l’obiettivo è lo stesso. Troppe costrizioni possono bloccare l’introduzione di servizi 5G che, nei campi già sopra indicati ed altri, non possono svilupparsi se, dal traliccio al device dell’ utente, passando per l’intera struttura di rete, si trovano rigidità o di norme o di fatto.

Sul valore in sé della infrastruttura cellulare non c’è invece dubbio. Proprio perché il ferro si intreccia con i servizi e la qualità. Se possibile vale ancora di più. Ancora una volta non tocco il punto di come approfittare di questo valore per fini economici o finanziari. Ribadisco che non si deve dimenticarne il ruolo strategico.

Concludo, sul tema valore, con questa considerazione. Il governo sembra intenzionato a far rientrare l’Italia all’interno della comunità scientifica per quanto riguarda le normative di protezione da campi elettromagnetici. Non si tratterà di cosa semplice né indolore, perché il tema è di quelli sensibili per la popolazione che deve comprendere che agganciare i limiti all’evoluzione scientifica assicura una maggior protezione e non il contrario. Se la cosa va in porto e l’Italia addotta i limiti degli altri paesi dell’Unione, sarà possibile aumentare il carico di potenza sui tralicci che potrà arrivare al limite anche a poco meno di cinquanta volte rispetto ad oggi. Che ne sarà in tal caso del loro valore nelle città?

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