A servire la soluzione all’Fbi su un piatto d’argento sarebbe stato un hacker, che è riuscito a individuare una vulnerabilità all’interno del sistema di sicurezza di Apple e ha deciso di mettere la sua scoperta a disposizione degli investigatori che indagano sulla strage di San Bernardino. Una scelta che ha consentito all’Fbi di fare un passo indietro nella causa che aveva intentato, comunicando al tribunale di aver trovato una soluzione senza che sia necessario “costringere” Apple a collaborare. La prima udienza sul caso, che avrebbe dovuto tenersi lo scorso lunedì, è così stata posticipata al 5 aprile, in attesa di capire se il metodo indicato dagli investigatori sia effettivamente efficace. Il caso era nato dalla richiesta dell’Fbi ottenere da Apple un software per lo sblocco del telefono “incriminato”, che era stato utilizzato da Syed Rizwan Farook, accusato della strage che aveva causato la morte di 14 persone in un centro disabili della cittadina californiana. Apple si era opposta, ricevendo la solidarietà dei Big dell’online, dicendo di non voler progettare un software che potesse fare da “backdoor” e mettere a rischio la riservatezza dei dati dei propri clienti.
Secondo le anticipazioni pubblicate dal New York Times, che riporta l’opinione di alcuni esperti di sicurezza informatica, l’hacker – o l’organizzazione di hacker – avrebbe fornito la soluzione all’Fbi perché Apple, a differenza degli altri big della tecnologia come Google, Microsoft, Facebook e Twitter, non offre ricompense agli hacker etici e agli esperti di sicurezza che scoprono “falle” nei suoi prodotti. Solo a titolo di esempio, Google dal 2010 ad oggi ha pagato 6 milioni di dollari di ricompense, e il sistema è ormai stato abbracciato anche da Uber, che ha appena iniziato ad offrire fino a 10mila dollari a chi scova vulnerabilità.
Il Dipartimento di Giustizia, che lunedì ha chiesto il posticipo della prima udienza in tribunale sul caso dopo la comunicazione di Apple, non ha finora specificato chi abbia fornito il metodo per sbloccare il dispositivo, né se sia stato pagato. L’Fbi ha tempo fino al 5 aprile per testare il sistema e, secondo quanto riportato dal Guardian, i test finora condotti su altri iPhone hanno consentito l’accesso agli smartphone protetti da password.
“Se Apple vuole continuare ad essere competitiva nel mondo moderno, deve modernizzare il suo approccio”, ha detto al Nyt Katie Moussouris, manager di HackerOne, la piattaforma che aziende come Yahoo, Dropbox e Uber usano per gestire i propri programmi di ricompensa.