Nell’industria finanziaria la corsa agli investimenti nell’intelligenza artificiale è entrata nel vivo. Gli hedge fund e le società che gestiscono patrimoni e titoli gareggiano per creare un sistema “pensante e capace di apprendere” che svolga le operazioni di trading e si adatti in modo intelligente alle condizioni di mercato, più abile e veloce di qualunque manager di fondi in carne ed ossa. La società finanziaria che arriverà a possedere questo fenomenale algoritmo batterà tutte le concorrenti. Ma è un obiettivo possibile?
“La sensazionale crescita del potere di elaborazione dei computer ha rivoluzionato praticamente ogni aspetto della vita moderna e i mercati finanziari non fanno eccezione”, si legge sul Financial Times. Gli hedge fund di maggior successo oggi “assumono computer scientist molto più che economisti e esperti di investimenti” e “usano le tecniche ‘quantitative’ abilitate dai moderni modelli computazionali e matematici”. L’intelligenza artificiale è solo il prossimo passo e farà sembrare arcaici persino gli attuali sistemi di calcolo per gli investimenti che pure sono velocissimi e ultra-complessi. Il Warren Buffett del futuro potrebbe avere le forme di un super-algoritmo.
Alcuni dei grandi money manager del mondo stanno già investendo in questa direzione: Bridgewater, il maggior gruppo di hedge fund globale, ha assunto nel 2012 il capo dell’unità per l’intelligenza artificiale Watson di Ibm, e l’anno scorso BlackRock e Two Sigma (hedge fund che usa i modelli quantitativi) hanno assunto ex ingegneri top di Google. I cacciatori di teste svelano che i computer scientist sono i professionisti più richiesti nel settore finanziario.
Ovviamente nessuno pensa che la macchina super-intelligente sostituirà completamente il genio umano, ma le strategie di trading che sfruttano l’intelligenza artificiale sono il futuro. “Il punto è che la mente umana è sempre la stessa dagli ultimi 100 anni e i metodi tradizionali non bastano più per gestire la mole di informazioni prodotta dall’economia globale”, afferma David Siegel, co-direttore di Two Sigma. “Arriverà il giorno in cui nessun investment manager umano potrà battere il computer”.
A Wall Street esiste già una “tribù” di appassionati che esplora le potenzialità dell’informatica applicata alla finanza. Tra questi nerd c’è Yin Luo, cresciuto “giocando” coi computer e i codici informatici, e che oggi è il “chief quant”, ovvero il capo analista quantitativo, di Deutsche Bank. Il suo team ha sviluppato un algoritmo di AI che autonomamente ricerca all’interno del sistema finanziario per trovare opportunità di investimento, passando attraverso masse di dati per scovare schemi proficui di investimento da proporre ai clienti. Il sistema si basa su un algoritmo di machine learning chiamato AdaBoost.
Il machine learning è considerato particolarmente promettente nel mondo finanziario: con questa tecnologia non solo una macchina distingue tra loro oggetti diversi o impara a giocare a qualunque gioco ma è capace di muoversi tra dati non strutturati, compresi immagini e video, che un computer normalmente non sa comprendere. “Si possono trovare schemi che si ripetono e che all’occhio umano sfuggirebbero”, sottolinea Luo. “Chi possiede questa tecnologia ha un vantaggio competitivo”.
In più, quando i mercati vanno incontro al cosiddetto “cambio di regime”, che implica che le strategie valide fino a poco prima non si possono più applicare, le super-macchine intelligenti a capaci di apprendere autonomamente evolvono e apprendono nuovi comportamenti, per adeguarsi alle mutate richieste dei mercati. Questo è l’elemento cruciale dell’intelligenza artificiale e del machine learning, sottolinea Nick Granger, fund manager di Man AHL, un hedge fund che sfrutta i modelli quantitativi: “Queste macchine creano intuitivamente strategie di trading dal nulla, cambiando sistema in base a quello che funziona in quel momento. Noi usiamo con profitto il machine learning da diversi anni e siamo pronti a investire di più in questo settore”.
Certo, nonostante gli entusiasmi, nemmeno i nerd possono nascondersi che l’intelligenza artificiale ha i suoi difetti. Il primo problema è il cosiddetto “overfitting” (sovradattamento), che si verifica quando un algoritmo non perfetto o troppo complesso trova correlazioni tra i dati apparentemente plausibili ma in realtà profondamente errate. Algoritmi del genere hanno messo in relazione il consumo di margarina con il tasso di divorzi nel Maine o i film di Nicholas Cage con gli incidenti in piscina. Inoltre, un modello che funziona bene nei test non è detto che funzioni sui mercati reali. Senza contare che i mercati possono essere a loro volta influenzati dall’algoritmo di trading, come fa notare Osman Ali, analista quantitativo della divisione asset management di Goldman Sachs: “Se si macinano dati sulle condizioni meteo, comunque non fa cambiare il tempo. Ma se si fa trading, l’impatto c’è”.
Infine, la creatività umana vince ancora sull’intelligenza e il potere computazionale della macchina. Brad Betts, ex computer scientist della Nasa che ora lavora alla BlackRock nella divisione “scientific equity”, ricorda l’atterraggio di emergenza dell’aereo sul fiume Hudson nel 2009, opera di una manovra di un abilissimo pilota in carne ed ossa capace di prendere in pochissimi minuti una decisione che ha salvato 155 vite. “Lasciamo che il cervello umano faccia tutto quello che sa fare meglio. I computer faranno quello che sanno far bene loro”, sintetizza Robert Frey, ex managing director di Renaissance Technology, uno dei più grandi hedge fund di sempre.