“Abbiamo alcune norme pronte per potenziare la policy startup. Che però sta già andando molto bene: l’obiettivo è sempre stato di avere 3mila startup entro fine anno e siamo a quota 2.200”. Stefano Firpo, capo della segreteria tecnica del ministero dello Sviluppo economico e uno dei padri della normativa startup, fa il punto sulla normativa “che ha fatto nascere in poco tempo un’industria da 300 milioni”. Racconta i prossimi passi, tra cui c’è l’avvio, da parte di Cassa e depositi e prestiti, del fondo di fondi per le startup: 200 milioni.
Con un’avvertenza: “Il Governo può fare la propria parte, ma ora tocca alle aziende bussare alla porta di chi fa innovazione. Per generare quelle sinergie che ancora mancano nel sistema startup italiano”.
Quali saranno le prossime misure normative, sulle startup?
Due, in particolare. Faremo alcuni chiarimenti sulla definizione di startup, rendendola più flessibile e quindi più aperta a una vasta platea di aziende. Estenderemo lo strumento di equity crowdfunding.
Come interverrete sulla definizione di startup?
Ora la policy startup – cioè il regime agevolato – vale per i primi quattro anni di vita dell’azienda. Ma da evidenze empiriche abbiamo capito che le startup italiane fanno più fatica, rispetto a quelle straniere, ad arrivare alle giuste dimensioni di mercato. Quindi stiamo pensando di estendere il termine di almeno un anno. Pensiamo inoltre di esplicitare un aspetto: l’ambito delle startup a vocazione sociale include anche la social innovation. Ossia le aziende startup che fanno servizi innovativi con un impatto sociale.
Non è già così?
Secondo me sì, se interpretiamo la normativa attuale. Ma vorremo renderlo più esplicito.
In che modo interverrete invece sul crowdfunding?
Ci stiamo ragionando. Adesso i gestori delle piattaforme crowdfunding danno accesso diretto alle startup. Pensiamo che questo accesso possa essere esteso ai fondi di investimento, che quindi potrebbero raccogliere fondi in crowdfunding e poi darli alle startup.
Come intendete fare queste modifiche alla policy startup?
Stiamo valutando la tecnica legislativa migliore. Il luogo potrebbe essere il decreto legge competitività che ora entra in conversione al Senato. Le misure che ho descritto sono una normale manutenzione normativa, da fare ogni anno. La normativa sta già andando bene. Lo dimostra la buona risposta da parte delle startup e dei fondi. Calcoliamo che si sono creati così 7mila posti di lavoro, dalle 2.200 startup nate con la nuova normativa, per quasi 300 milioni di fatturato complessivo. In poco tempo si è creata una nuova industria. A costo zero per lo Stato.
Quali sono strumenti più usati, tra quelli forniti dalla normativa?
È molto utilizzato l’accesso semplificato e a costo zero alla garanzia del fondo centrale per i finanziamenti bancari. Sono stati mobilitati così più di 50 milioni. Cominciano a essere usati gli incentivi fiscali e i vantaggi sulla remunerazione dei dipendenti tramite stock option; la normativa sul lavoro (con i contratti flessibili a termine). Sono state chiuse inoltre le prime operazioni di equity crowfunding.
Quali lacune permangono nel nostro sistema startup?
Manca un venture capital forte, con risorse dedicate all’equity, soprattutto di alto livello. Riusciamo a fare deal fino a un milione di euro. Ce ne mancano quelli da alcuni milioni. C’è una debole sinergia tra mondo startup e grande industria o industria tradizionale. Siamo molto indietro anche sul fronte del trasferimento tecnologico dalla ricerca di base all’impresa.
Su questi aspetti che fa e può fare il Governo?
Per il venture capital, il Governo ha promosso il nuovo fondo dei fondi con Cdp, che si è impegnata a raccogliere 200 milioni di euro. Significherebbe raddoppiare di colpo il valore annuale del mercato venture italiano. Per la sinergia tra startup e imprese tradizionale inizia a muoversi qualcosa, ma troppo lentamente. Vedo molto marketing di iniziative ma poca sostanza. Noi abbiamo messo a disposizione una detrazione d’imposta del 20% per le imprese che investono in startup (fino a 1,8 milioni di euro). E si arriva al 27% per investimenti in startup a vocazione sociale. Infine, per il trasferimento tecnologico il Governo può fare poco. Dovrebbero essere le imprese a bussare alle università a ricerca di brevetti e innovazioni. È una questione di sensibilità e cultura, che sono ancora immature.
Firpo: “Potenziare la policy startup”
Parla il capo della segreteria tecnica del Mise: “Puntiamo a estendere il regime agevolato di almeno un anno”. Ma avverte: “Il governo può fare
la propria parte ma tocca alle aziende bussare alle porte dell’innovazione”
Pubblicato il 11 Lug 2014
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