Netflix deve pagare le tasse anche in Italia: la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta per omessa dichiarazione dei redditi nei confronti del colosso americano del video streaming. Lo riporta il Corriere della Sera. Gli inquirenti osseervano che in Italia Netflix non ha una sede o dei dipendenti, ma incassa milioni di euro vendendo film e serie tv trasmessi via Internet senza pagare le tasse su questo introito. Netflix, spiega ancora la Procura di Milano, ha in Italia un’attività commerciale e utilizzanel nostro paese fibre ottiche e altri asset – come server e computer che processano i dati dei film e delle serie e elaborano gli algoritmi per la profilazione dei clienti e dell’offerta – che partecipano e anzi costruiscono il suo business italiano e, per questo, deve risponderne al fisco.
Il business italiano di Netflix
L’indagine è coordinata dal pm Gaetano Ruta e affidata ai militari del Nucleo di Polizia economico finanziario della Guardia di Finanza. A differenza delle precedenti inchieste fiscali milanesi che hanno riguardato gli altri operatori del digitale Apple, Google, Facebook o Amazon, nel caso di Netflix non si parla di “stabile organizzazione” di persone occultata al fisco, spiega il Corsera, proprio perché “non c’è alcuna organizzazione ‘personale’ che per essere individuata, come dice la legge, deve avere strutture e persone fisiche che partecipino in maniera rilevante agli affari, ad esempio con attività di promozione e di vendita, anche se i contratti vengono poi formalmente realizzati dalla società che risiede all’estero”.
La Procura e le Fiamme Gialle seguono il filone della “stabile organizzazione materiale” occulta, prosegue il Corsera, cioè l’azienda risiede all’estero (la sede europea di Netflix è ad Amsterdam), ma ha in Italia una “sede fissa di affari per mezzo della quale esercita in tutto o in parte la sua attività”. Gli asset rilevanti che l’azienda americana del video streaming sfrutta in Italia sono cavi, fibre ottiche, computer, server e algoritmi, che farebbero rientrare Netflix nel concetto di “stabile materiale”.
Secondo una stima di Comparitech, dall’arrivo in Italia nel 2015 al 2018 Netflix ha raggiunto in Italia 1,4 milioni di abbonati con la prospettiva di toccare i 2 milioni entro la fine del 2019.
Modello Milano
I colossi del web americani Google, Apple, Facebook e Amazon e altre 30 multinazionali verseranno al fisco italiano oltre 1,8 miliardi di euro dopo l’adesione all’avviso di accertamento seguita alle indagini del Nucleo di Polizia economico finanziario della Guardia di Finanza. È uno dei successi del cosiddetto “modello Milano”, ossia la sinergia tra Procura, Agenzia delle Entrate e GdF comunicato nel bilancio degli ultimi 17 mesi dalle Fiamme Gialle lombarde lo scorso giugno.
In particolare, 1,25 miliardi “saranno versati entro la fine dell’anno da un gigante internazionale del lusso”, ossia Kering, che possiede il marchio Gucci, “a seguito di una verifica fiscale che aveva portato alla luce un’evasione d’imposta di 1,3 miliardi di euro”. Si tratta della cifra più alta “conciliata” con l’Agenzia delle Entrate per evitare un contenzioso, dopo le indagini della Procura e della Gdf milanese che in passato hanno portato ad accordi di risarcimento di questo genere anche per Google, che nel 2017 ha versato 306 milioni di euro.
Il Nucleo di polizia economico-finanziaria di Milano, tra l’altro, “con riferimento all’innovativo comparto della ‘digital economy‘, ha rilevato diversi fenomeni evasivi perpetrati attraverso la rete Internet dai principali operatori del settore”. Nei mesi scorsi Facebook si è messa in regola versando all’Erario oltre 100 milioni, cifra simile a quella versata nel dicembre 2017 anche da Amazon.