IL CASO

Food delivery e riders, indagini in tutta Italia

I carabinieri hanno ascoltato circa mille ciclofattorini a seguito di un procedimento incardinato presso la Procura di Milano: faro su contratti e sicurezza sul lavoro. La ministra Catalfo: “Stop allo sfruttamento”

Pubblicato il 01 Giu 2020

riders

Oltre mille rider sono stati ascoltati dai carabinieri del Comando tutela lavoro, in tutta Italia, per verificare le loro condizioni, sia da un punto di vista giuslavoristico, sia della sicurezza e della salute. Si tratta di un’attività avviata in seguito ad un procedimento penale incardinato nella procura di Milano, e in particolare nel dipartimento Tutela salute-ambiente-lavoro, guidato dall’Aggiunto, Tiziana Siciliano.E dopo il commissariamento di Uber Eats accusata di caporalato.

L’indagine, coordinata dalla pm Maura Ripamonti, è stata affidata al nucleo specializzato dell’Arma milanese, guidato dal colonnello Antonino Bolognani, e ha mosso i suoi primi passi già a fine 2019. Un fascicolo “conoscitivo” per controllare “a tappeto”, se le aziende rispettano le norme in termini di tutela dei lavoratori, i quali – soprattutto nell’ultimo periodo, con il lockdown – sono aumentati di numero a dismisura.

Sono stati ascoltati circa mille rider, affiliati a tutte le principali piattaforme di delivery, in tutto il territorio nazionale, da Palermo ad Aosta. Gran parte del lavoro, tuttavia, si è concentrato proprio a Milano, dove la maggior parte delle società hanno la loro sede legale e operativa. Le attivita’ dei carabinieri si sono svolte su strada ascoltando “la voce dei lavoratori”, e le loro reali condizioni.

Si tratta infatti di comprendere se siano inquadrati come autonomi o parasubordinati : ai rider, infatti, è stato chiesto come sono stati ingaggiati dalle piattaforme, come hanno fatto ad iscriversi, e come turni e assegnazioni vengono gestiti dalle app. In questo momento, inoltre, uno dei mandati è quello di verificare se i fattorini abbiano i dispositivi di protezione individuale necessari nella fase 2 post pandemia Covid. C’è infatti da accertare se sia il datore di lavoro a dover fornire mascherine e guanti o se sia il singolo corriere a doverseli procurare, a seconda del contratto stipulato; allo stesso modo bisognerà vedere chi ha la responsabilità della manutenzione dei mezzi con cui viaggiano, per la maggior parte biciclette, e quella della salute in caso si ammalino. Una volta verbalizzate le audizioni, i militari specializzati procederanno alla verifica delle informazioni raccolte.

La reazione della ministra del Lavoro Nunzia Catalfo

“E’ dal lavoro che dipende la ripresa del nostro Paese e la tenuta del tessuto sociale . scrive su Facebook la ministra Catalfo – Per questo è necessario scongiurare ogni forma di irregolarità o, peggio, di sfruttamento a danno dei lavoratori, soprattutto di quelli più fragili ed esposti. Come i riders”.

“E’ proprio partendo da questo presupposto che a novembre dell’anno scorso abbiamo approvato, all’interno del Decreto Salva-Imprese, una norma sui ciclofattorini, lavoratori che si sono rivelati determinanti durante questo periodo di emergenza – prosegue – Grazie alle misure che abbiamo introdotto, oggi questa categoria si vede riconosciuta per la prima volta una copertura Inail per gli infortuni, una paga dignitosa e diritti di base di cui erano totalmente sprovvisti. Adesso dobbiamo vigilare con attenzione affinché questi diritti vengano rispettati”.

Il commissariamento di Uber Italy

I rider per Uber sono “solo dei puntini su di una mappa, da attivare o bloccare a loro piacimento con il mero intento di ottimizzare il servizio della piattaforma e far guadagnare ad Uber il più possibile” e “più e più volte ci siamo lamentati” con l’azienda “affinché aumentassero il valore delle consegne, ma tutto è stato inutile, anzi nel corso del tempo tale tariffa è sempre più diminuita in tutte le città”. Lo scrivono in una memoria depositata agli atti dell’inchiesta della Procura di Milano, che ha portato il 29 maggio al commissariamento di Uber Italy per caporalato per il servizio Uber Eats, due degli indagati della società Flash Road City, che, stando alla indagini, avrebbe svolto intermediazione di manodopera per la filiale italiana del gruppo americano.

I due, Giuseppe Moltini e Danilo Donnini, nella memoria ai pm spiegano, in sostanza, che era Uber a imporre le tariffe (i fattorini venivano pagati 3 euro a consegna) e le “punizioni” ai rider che venivano “bloccati”, ossia veniva disconnessa la loro applicazione, quando non seguivano le regole. “Al contrario noi, avendo un rapporto diretto e personale con i ragazzi – si legge nella memoria – abbiamo sempre cercato di tutelarli e difenderli (incentivi, bonus, assicurazioni, regali di bici, facilitazioni nell’acquisto di telefoni, anticipi di denaro etc?), ma soprattutto abbiamo sempre cercato di ascoltarli”. Per quanto riguarda i “blocchi”, hanno scritto i due indagati, “noi non abbiamo mai avuto il potere di bloccare un account (…) lo potevano fare solo i manager di Uber. Spessissimo Uber bloccava i nostri ragazzi dicendo che avevano commesso frodi, oppure che avevano avuto un atteggiamento sconveniente verso i clienti o all’interno dei ristoranti, o ancora semplicemente perché non erano performanti rispetto alle tabelle di servizio della piattaforma”.

Pronta la reazione di Uber. “Il presunto trattamento dei corrieri impiegati da Flash Road City è riprovevole e inaccettabile – si legge in una nota -Stiamo prendendo provvedimenti immediati per avviare un’indagine interna e chiarire le responsabilità. Siamo ovviamente a disposizione delle autorità per collaborare all’indagine in corso”.

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