L’effetto Expo si è fatto sentire anche in banca. Nell’ultimo anno sempre più startup del Food hanno bussato alle porte degli istituti di credito per chiedere finanziamenti e soprattutto partecipare ai programmi di accelerazione d’impresa, messi a disposizione dai grandi player bancari con l’obiettivo di favorire l’incontro tra giovani realtà imprenditoriali e investitori, siano essi aziende o fondi, e convincere questi ultimi a scommettere sulle prime. “Quello del Food, insieme al Fashion e al Luxury, è uno dei settori su cui puntiamo di più”, conferma Giuseppe Capetta, Innovation manager di Intesa Sanpaolo, gruppo bancario che dal 2009 ha avviato Startup initiative, una piattaforma di accelerazione internazionale per startup high tech focalizzata su 9 settori ad alto potenziale di sviluppo, alla quale hanno partecipato 530 realtà imprenditoriali per un totale di 55 milioni di euro raccolti.
Nel 2014 sono arrivate ben 120 candidature da tutto il globo di startup innovative che facevano capo al comparto agroalimentare. “Tra le finaliste c’era un’azienda israeliana – racconta Capetta – che aveva brevettato uno spettroscopio portatile in grado di rilevare il profilo nutrizionale del cibo. Grazie al nostro programma, è riuscita ad attrarre circa 10 milioni d’investimenti attraverso il venture capital”. E oggi, infatti, il venture capital si conferma una delle formule di finanziamento più utilizzata nel mondo delle startup, in questo notevolmente diverse dalle aziende vecchio stampo, abituate per tradizione in Italia ad attingere prevalentemente ai prestiti bancari. Diversi sono i gruppi industriali con un’esperienza consolidata che stanno dimostrando forte interesse e disponibilità a fare il loro ingresso nel capitale di queste giovani realtà imprenditoriali. Nel carnet degli investitori che hanno scommesso sulle startup agro-alimentari spuntano nomi eccellenti: Danone, Granarolo, Bolton alimentare, Barilla, quest’ultima, secondo Capetta, una delle industrie del food italiane “che più sostiene l’open innovation”.
Anche Unicredit, dove da un anno è stato avviato il progetto Start Lab, iniziativa per sostenere i giovani imprenditori e l’innovazione, ha visto crescere notevolmente nel proprio programma d’accelerazione d’impresa la presenza del settore agroalimentare. “L’anno scorso delle 780 proposte pervenuteci circa un 4% apparteneva all’area del Food. Quest’anno invece le startup agro-alimentari che hanno presentato la propria candidatura a Unicredit Start Lab sono aumentate di oltre 4 punti percentuali, merito anche dell’Expo. In questo periodo gran parte delle aperture di nuove imprese riguarda proprio l’ambito della ristorazione. Al tempo stesso quello dell’agricoltura è uno dei pochi settori in cui si continua a crescere anche in termini d’occupazione”, dice Paola Garibotti, head of developement plans di Unicredit. Se finora le startup del Food and Beverage hanno ricoperto un ruolo limitato nel programma Unicredit, attirando soltanto circa mezzo milione di euro in finanziamenti su un totale 33 milioni riservati agli altri settori, la tendenza è destinata a subire una rapida inversione. Lo stesso gruppo guidato da Federico Ghizzoni ha recentemente avviato una due diligence per un paio di startup che provengono dall’agro alimentare. Il progetto sarebbe quello di entrare nel loro capitale attraverso un equity, come peraltro Unicredit ha già fatto lo scorso dicembre, investendo per la prima volta 150mila euro in una startup romana, Qurami, che ha elaborato un sistema per eliminare le code negli uffici pubblici.
Ma a intravedere prospettive di crescita nel segmento delle startup del Food è anche il settore agro-alimentare in generale, che in questo momento ha bisogno delle nuove tecnologie per potersi internazionalizzare, offrire nuovi servizi ai consumatori e migliorare i processi produttivi. Pochi mesi fa la Coop ha avviato una partnership con una startup fondata da un giovane ingegnere siciliano, la Wib, per la fornitura di distributori automatici, che funzionano attraverso la tecnologia dell’Internet of things e consentono la conservazione, a temperatura differenziata, dei prodotti alimentari e il loro controllo a distanza. Un caso emblematico, che dimostra come ormai il “vecchio e il nuovo” siano sempre più destinati a integrarsi.