La Foxconn ha ammesso di aver impiegato minorenni in uno stabilimento di Yantai (Cina nordorientale), ultimo di una serie di episodi relativi a presunti abusi sui dipendenti da parte di questa azienda leader mondiale nella produzione di elettronica e tra le principali subappaltatrici di Apple.
Un portavoce di Hon Hai Precision Industry (il cui nome commerciale è appunto Foxconn Technology Group) ha confermato l’arruolamento come stagisti per circa tre settimane di giovani intorno ai 14 anni in uno stabilimento della provincia di Shandong. Non ha specificato quanti fossero i minori coinvolti, né quale tipo di prodotto sia fabbricato nell’impianto, ma ha tenuto a specificare che “prodotti e attività non hanno nulla a che fare con il lavoro svolto per conto di Apple”.
Il colosso taiwanese ha spiegato di avere in corso collaborazioni con istituti scolastici ed educativi per l’assegnazione agli studenti di stage di breve periodo, dai 3 ai 6 mesi, nelle proprie sedi. Ha aggiunto che la convocazione degli stagisti avviene sotto la supervisione delle autorità locali, ma ha anche ammesso la “piena responsabilità” per le violazioni, sottolineando comunque che al momento non sono emersi episodi simili in nessun altro impianto.
Secondo China Labor Watch, organizzazione no profit a difesa dei lavoratori, le scuole hanno le maggiori responsabilità per aver inviato studenti minorenni, ma “anche Foxconn è colpevole di non aver verificato l’età degli aspiranti stagisti”.
È l’ultimo di una serie di casi che hanno suscitato critiche nei confronti del colosso tecnologico. Tra il primo e il 2 ottobre, durante un periodo di festività nazionale, si sono confrontati un piccolo gruppo di addetti alla linea di produzione e un altro di responsabili della qualità in una fabbrica a Zhengzhou, nella Cina settentrionale. Secondo gli attivisti la produzione è stata interrotta per uno sciopero a cui hanno aderito migliaia di addetti alla fabbricazione dell’iPhone 5, tesi seccamente smentita dall’azienda.
Prima ancora alcuni scontri in cui erano rimaste coinvolte circa 2000 persone avevano portato alla chiusura della sede di Taiyuan (Cina settentrionale). Da diverso tempo Foxconn, che impiega circa un milione di persone in Cina, è sotto accusa per le dure condizioni di lavoro a cui costringe i propri dipendenti e per i magri salari corrisposti. La multinazionale è salita alla ribalta delle cronache per una serie di misteriosi suicidi avvenuti in alcune sue fabbriche nel 2010.