“L’Italia negli ultimi anni ha perso posizioni nella ricerca nel settore delle tlc”: lo ha detto Mario Frullone, direttore delle Ricerche della Fondazione Ugo Bordoni in occasione della giornata di studi “Ricerca Scientifica e sviluppo competitivo dell’Ict” organizzata dalla Fub presso la sede del Cnr a Roma.
“Anche da parte degli operatori di telefonia – ha proseguito – c’è sempre più attenzione verso l’innovazione di tipo commerciale piuttosto che nei confronti della ricerca tecnologica. E questo portare a conseguenze pesanti nel corso del tempo”. Invece, ha sottolineato, sono “vincenti le imprese accomunate da investimenti in capitale umano, attività innovativa e intense relazioni produttive con altri soggetti”.
Quanto al rapporto fra Università, mondo della ricerca e aziende “in Italia è difficile – ha affermato Frullone – perché il nostro tessuto industriale è costituito per lo più di piccole aziende che non hanno risorse da dedicare ad attività di ricerca e sviluppo. D’altra parte le grandi aziende tendono a spostare R&D dove i costi sono più ridotti rispetto al nostro Paese. La ricerca strategica, quella che per esempio negli anni Ottanta aveva portato alla realizzazione di standard come il Gsm, oggi viene dirottata altrove”.
Illustrando i dati della ricerca Fub-Cotec sull’innovazione, Frullone ha ricordato che la spesa italiana per R&D è ancora su livelli nettamente inferiori alla media europea: nel 2011 è stata pari all’1,25% del Pil rispetto alla media Ue del 2,09%. In compenso il nostro Paese dimostra la capacità di partecipare a programmi quadro europei quale il FP7, che copriva il periodo 2007/2011 ed ha preceduto Horizon 2020: in quell’occasione il nostro Paese si conquistò 506,8 milioni di euro per 188 progetti a coordinamento. Però si dovrebbe fare di più nell’uso dei fondi Ue, che nel nostro Paese restano troppo spesso inutilizzati dalle Regioni. E ci sono altri dati affatto positivi: l’Italia resta tra gli ultimi Paesi in Europa per popolazione in possesso di un titolo di istruzione terziaria, seppure tra il 2000 e il 2011 il numero di laureati sia cresciuto del 31,4%. Un altro elemento che fa riflettere è come, nel corso degli ultimi dieci anni sia rimasta pressoché stabile la quota di laureati in ingegneria e scienze matematiche, fisiche e naturali, nonostante il mondo del lavoro sia molto cambiato in questo arco di tempo.
“Uno dei limiti dell’Italia – è intervenuto Gabriele Falciasecca, professore ordinario di campi elettromagnetici al Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione Guglielmo Marconi dell’Università di Bologna – è che le aziende tendono a investire nel breve termine e non guardano a sufficienza al futuro. Invece la ricerca ha tempi lunghi. Così non riescono ad assorbire i nostri laureati che finiscono per trovare lavoro all’estero”.