Fuggetta: ‘La PA? Impari a spendere bene’

Intervista con Alfonso Fuggetta, direttore del Cefriel. “Servono obiettivi sfidanti per stimolare l’offerta. E gare che favoriscono l’aggregazione”

Pubblicato il 14 Set 2009

L’informatica italiana soffre di depressione. E secondo Alfonso
Fuggetta, direttore del Cefriel, si può superare solo agendo
contemporaneamente sul versante dell’offerta e su quello della
domanda, con un contributo fondamentale da parte del settore
pubblico.

“Dopo lo scoppio della bolla Internet sembra sia passata l’idea
che l’informatica non offra alcun vantaggio competitivo, ma non
sia altro che una commodity”, sostiene. In questo senso ha fatto
scuola, in Italia, la tesi di Nicholas G. Carr nell’ormai celebre
articolo pubblicato nel 2003 sulla Harvard Business Review (“IT
Doesn’t Matter”) che, secondo Fuggetta, sintetizza la
mentalità diffusa nel nostro Paese, altrove da tempo superata.
“Una mentalità – dice – che si è affermata anche nel settore
pubblico, come dimostrano i criteri utilizzati nelle gare per
l’acquisto di prodotti e servizi informatici, dove, quando va
bene, hanno lo stesso peso costo e qualità, a differenza di quanto
avveniva in passato”.

C’è una via d’uscita? Come può contribuire
l’intervento pubblico?

Il pubblico può essere di stimolo, ma soprattutto deve spendere
bene. Non si tratta di puntare a megaprogetti o di dare soldi sulla
base di incentivi generici, ma di stimolare l’offerta attraverso
l’acquisto di prodotti e servizi innovativi che servano al Paese.
Un caso esemplare, nel passato, in un settore diverso dall’IT, è
quello del Pendolino. Progettato per rispondere alla necessità
delle Ferrovie di un treno ad alta velocità che potesse viaggiare
anche su linee ferroviarie tradizionali, ha consentito alle
Ferrovie di offrire un servizio avanzato e alle aziende che
l’hanno realizzato di aumentare la capacità competitiva con un
prodotto che è poi stato venduto in tutto il mondo.

A partire da questo esempio, quali progetti potrebbero
contribuire a rilanciare il settore Ict?

Il primo che mi viene in mente è quello di far sparire tutte le
ricette cartacee entro due anni. Il medico non dovrebbe più
emettere prescrizioni cartacee, la farmacia non richiederebbe più
ricette cartacee, i pagamenti non si baserebbero più su documenti
cartacei, ma tutto avverrebbe in elettronico. Un sistema efficace
per mettere sotto controllo la spesa.

Un altro esempio?
Si sono fatti tanti progetti per il pagamento dei mezzi di
trasporto e di servizi pubblici con l’emissione di una
molteplicità di carte. Sarebbe sufficiente identificare due
sistemi di pagamento: la carta regionale dei servizi e il
cellulare. Gli enti pubblici potrebbero stabilire che non si paga
nulla se non attraverso uno di questi strumenti elettronici. Ma ci
sono molte altre aree da esplorare. L’informatica diventa mobile
e i cellulari di oggi dispongono di una potenza che fino a pochi
anni fa non avevamo neppure sui pc… Perché non pensare allora
alla virtual reality applicata al turismo? Puntando il cellulare
verso un negozio o un monumento si potrebbe sapere cosa acquistare
o avere la descrizione e la storia dell’opera.  Ci sono
centinaia di esempi.

Allora cosa manca?
La capacità, in chi compra tecnologia, di chiedere le cose giuste
e, in chi vende, di aiutare chi compra a maturare le richieste e a
comprendere le opportunità. Il settore pubblico potrebbe svolgere
un ruolo determinante attraverso progetti per il sistema Paese, che
dovrebbero essere varati dal governo o dal ministero competente,
con una chiara committenza e l’indicazione di un chiaro risultato
da raggiungere in tempi certi, con i quali sfidare il mercato a
offrire le soluzioni. Se ci si limita invece a finanziamenti a
pioggia per far sì che si acquisti un po’ di informatica
gestionale dalle filiali italiane delle solite multinazionali o per
soddisfare la richiesta generica di fondi a condizioni costanti si
ottiene poco, anzi si fa un’azione controproducente che
contribuisce a mantenere lo status quo.

Ma queste proposte non rischiano di infrangersi sui
meccanismi con cui vengono gestite le gare del settore
pubblico?

Certo qualcosa deve cambiare. Il settore pubblico dovrebbe definire
obiettivi sfidanti per stimolare l’offerta e gestire in modo
intelligente i processi di selezione. I vantaggi sarebbero
molteplici. Si avrebbe un valore diretto, visto che
l’amministrazione potrebbe migliorare i propri servizi e offrirne
di nuovi, una valenza culturale, con la dimostrazione pratica del
valore dell’informatica, un vantaggio per le imprese
dell’offerta a cui si darebbe l’opportunità di sviluppare
competenze rivendibili in Italia e all’estero. Nelle gare si
dovrebbe inoltre prestare attenzione all’aggregazione,
valorizzando in tutti gli atti la creazione di alleanze e consorzi
per mettere a fattor comune la capacità di sviluppo e per aiutare
le nostre imprese a crescere anche dimensionalmente.

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