SMART CITY

Fumagalli (Confartigianato): “Così rinasce la manifattura urbana”

Il segretario generale dell’associazione: “Ci candidiamo a costruire l’ultimo miglio per città più tecnologiche, ma anche più belle e più vive, nel rispetto dell’identità e delle tradizioni”

Pubblicato il 30 Giu 2013

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Confartigianato sta entrando con forza nell’arena delle Smart Cities. Il suo segretario generale, Cesare Fumagalli, sta guidando questo processo. Gli chiediamo alcuni chiarimenti sulla loro strategia.
Confartigianato come sta affrontando l’opportunità offerta dalle Smart Cities?
Sulle smart cities in Italia c’è ancora moltissimo da fare e noi ci candidiamo a costruire l’ultimo miglio per città più tecnologiche, ma anche più belle e più vive, nel rispetto dell’identità e delle tradizioni. Le nostre imprese, lo testimonia la partecipazione di grande successo alla San Francisco Design Week con momenti di confronto ad alto livello con la Silicon Valley e il movimento dei makers, producono innovazione, anche di alto livello e con grandi capacità competitive. Fanno innovazione spesso fuori dai laboratori di ricerca e in modo adattivo, ma i risultati possono essere di grande qualità. Ciò detto, anche le micro e piccole imprese possono dire la loro in una riflessione nazionale su come innovare il territorio e l’economia partendo da quelle piattaforme fondamentali che sono le città.
In cosa consiste la tipica competenza artigiana? Come si lega alle piattaforme tecnologiche ?
La capacità delle imprese artigiane, in settori come l’edilizia e l’impiantistica ma non solo, di individuare soluzioni che facciano funzionare le tecnologie, è necessaria per l’implementazione di soluzioni. Senza connettere l’ultimo miglio nessuna tecnologia smart potrà funzionare. Ma il valore delle micro e piccole imprese va oltre. Le nostre imprese sono per la maggior parte attive nelle città, magari spostate in periferia da una politica che relegava la produzione ai margini dei centri urbani e, se possibile, del Paese e del continente. Oggi l’atteggiamento verso il manifatturiero è cambiato e chi produce beni deve riacquistare una nuova centralità anche geografica. Anche in Paesi tradizionalmente legati alla grande industria e ai servizi, come gli Stati Uniti, attraverso il movimento dei makers si è tornati a porre il tema della produzione e dell’artigianalità in luoghi centrali delle città. Le botteghe artigiane hanno contribuito alla forma architettonica e all’organizzazione sociale delle nostre città e questo contributo, opportunamente arricchito dalle tecnologie, è un valore da difendere e rilanciare.
Questa rinascita della manifattura urbana (e dei makers) è stata colta dai bandi sulle Smart Cities?
Le politiche pubbliche su smart cities scontano una sorta di pregiudizio sulle capacità innovative delle micro e piccole imprese e al contrario eccessiva fiducia nelle soluzioni dei grandi vendor tecnologici e nella capacità di innovazione derivante dal procurement pubblico. Come risultato, i bandi smart cities richiedevano partnership e investimenti e si rivolgevano a soluzioni fuori scala rispetto alle potenzialità e alle esigenze delle Mpmi. Bisogna ripensare l’approccio a livello centrale e locale, promuovendo la ricerca di soluzioni concrete a problemi reali e coinvolgendo il patrimonio di cultura e capacità innovativa dei piccoli, per dimensione ma non per capacità.

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