I dati sono il più grande valore delle aziende e la maturità nei confronti della loro gestione sta crescendo, con l’estendersi di approcci sempre più evoluti. Secondo una recente ricerca condotta da Denodo e Ikn Italy per indagare l’atteggiamento delle aziende italiane in tema di gestione e democratizzazione dei dati, circa un terzo degli intervistati (32%) indica oggi il Data Mesh come paradigma di riferimento, dimostrando l’interesse suscitato da questo nuovo modo di gestire organizzativamente i dati. Analogamente, la modernizzazione delle infrastrutture si riscontra nel 28% delle preferenze per il modello del Data Fabric.
Non solo. Dall’indagine emerge anche che quasi 3 aziende su 10 (29%) hanno in programma di adottare un approccio Data-as-a-Service, in linea con le attuali esigenze orientate al consumo veloce dei dati e alla base di iniziative di Data marketplace e Data monetization. In tale contesto, non sorprende che intelligenza artificiale e machine learning siano riconosciute come tecnologie d’elezione da oltre un terzo delle aziende italiane (rispettivamente 21% e 14%), i cui casi d’uso sono in rapida crescita. Accanto ad esse, si riscontra poi un utilizzo omogeneo di tecnologie come Data warehouse, Data lake e Data lakehouse (tutte con il 18% delle preferenze).
Sempre più diffusi i team dedicati
Se nel 2021 in Italia quasi 3 organizzazioni su 10 (29%) non disponevano di una figura dedicata alla governance dei dati, oggi ben il 90% delle aziende può fare affidamento su un team che si occupa di gestire il patrimonio informativo. In questo scenario, lo studio evidenzia la diffusione di modelli diversi: da team centralizzati all’interno della struttura IT (36%) a quelli ospitati nella struttura del Chief data officer (18%), fino a quelli a diretto riporto del ceo (anch’essi comuni nel 18% dei casi). Per quasi 2 aziende su 10 (18%), infine, ogni dipartimento ha un team proprio che modella i dati di cui è responsabile.
Democratizzazione dei dati: ancora tanti gli ostacoli
La ricerca ha guardato nello specifico alla cosiddetta democratizzazione dei dati, che si basa sulla loro condivisione per liberarne appieno il valore e farne un elemento chiave delle decisioni aziendali. I vantaggi sono indiscussi, soprattutto in termini di facilità d’uso: ben il 62% degli intervistati riconosce infatti nella democratizzazione dei dati la strada sia per ridurre il tempo e lo sforzo nell’utilizzare i dati stessi, sia per aumentare la propria autonomia.
Tuttavia, gli ostacoli alla sua applicazione sono ancora notevoli e si traducono innanzitutto in una generale mancanza di consapevolezza. Più di 2 professionisti su 10 (22%), infatti, lamentano la mancanza di una sponsorship forte che sostenga il cambiamento, accompagnata da una lacuna dal punto di vista culturale e, più in generale, organizzativo (rispettivamente 21% e 18%). Non trascurabile, poi, la difficoltà nel definire le regole di data governance (17%), che in un contesto di democrazia dei dati possono essere viste come i diritti e i doveri di chi li utilizzerà. Sono forse queste difficoltà che spingono addirittura un quarto (25%) delle aziende italiane a non prendere in considerazione l’idea di democratizzare i dati.
Ancora in corso la migrazione sul cloud
Per quanto il cloud sia ormai parte integrante delle architetture IT, la ricerca ha evidenziato che per quasi due terzi delle aziende (64%) la maggior parte dei dati è ancora gestita on-premise e che solo l’11% prevede di ultimare completamente la migrazione entro 18-36 mesi. Altri prediligono invece un approccio meno radicale: il 14% degli intervistati dichiara che in futuro la maggioranza dei dati sarà archiviata in cloud (pur senza indicare un orizzonte temporale preciso), mentre un ulteriore 11% preferisce mantenere un equilibrio tra l’on-premise e il cloud, che rimarrà tale anche nel prossimo futuro.
Le modalità di archiviazione dei dati non sono disgiunte dai processi di gestione. In uno scenario in cui la maggior parte delle informazioni è ancora gestita on-premise, in oltre 4 aziende italiane su 10 (43%) i dati devono essere richiesti e messi a disposizione dall’IT, senza poterli esplorare prima attraverso l’uso di un data catalog. La strada, però, è segnata. Lo studio ha infatti rilevato un altro 46% di realtà che fanno affidamento su un catalogo per rispondere alle esigenze che richiedono l’uso dei dati: da cataloghi di sola consultazione (21%), a cataloghi che consentono sia la ricerca, sia l’utilizzo dei dati (14%), fino a quelle aziende – seppur ancora in minoranza – dove i data consumer possono non solo esplorare i dati, ma anche crearne di nuovi (11%).
Verso un approccio democratico alla gestione dei dati
“In un mondo digitale in cui i dati sono i nostri occhi, è importante poter mantenere una visione strategica che non si perda nella crescente quantità di informazioni disponibili. È qui che entra in gioco la Data driven transformation, tanto complessa quanto imprescindibile – spiega Andrea Zinno, Sales director & Data evangelist di Denodo -. Per le aziende diventa allora fondamentale mettere i dati davvero a disposizione di chi ne ha bisogno, secondo un approccio democratico che non è solo tecnologico, ma innanzitutto culturale: l’obiettivo è rendere i dati accessibili a tutti coloro che devono farne uso, e di farlo nel rispetto delle regole. La nostra ricerca racconta l’immagine di uno scenario di business in evoluzione, con organizzazioni che, nonostante le difficoltà, si mostrano determinate ad abbracciare il cambiamento grazie alla presenza di team dedicati alla gestione dei dati, che sembra ormai essere lo standard. I dipartimenti IT giocano ancora un ruolo primario, ma per il futuro si può prevedere una tendenza crescente degli utilizzatori dei dati a volersi affrancare da questa dipendenza, guadagnando una maggiore autonomia nella fruizione e gestione delle informazioni”.