IL CASO

Gig Economy, in California è battaglia sulle nuove regole

Uber e Postmates presentano una mozione al tribunale del lavoro della California: nel mirino degli unicorni c’è la costituzionalità della legge, firmata dal governatore, che estenderà ai collaboratori esterni delle aziende le garanzie e i diritti riservati ai dipendenti

Pubblicato il 02 Gen 2020

gig - economy

In ballo c’è un modo di intendere la new-new economy basata sulle app e sull’idea di gig economy, cioè di micro opportunità lavorative diffuse tra più lavoratori. Per questo la contromossa di Uber e di Postmates, azienda che fornisce servizi di corriere negli Usa, mira a far dichiarare incostituzionale la proposta di legge che è stata approvata e sta per entrare in vigore in California.

In base alla normativa, firmata a settembre dal governatore della California Gavin Newsom, i diritti dei lavoratori verrebbero riconosciuti in una maniera non prevista dalle aziende protagoniste della gig economy, che vedrebbero i loro appaltatori esterni trasformarsi in dipendenti, e quindi perdere la leggerezza che ha consentito loro di trasformarsi in colossi che hanno rivoluzionato interi settori dell’economia senza possedere alcuno strumento o forza di lavoro paragonabili a quelli della “vecchia” concorrenza.

Nella mozione presentata davanti alla corte federale di Los Angeles le aziende sottolineato come la normativa sia “irrazionale, vaga e incoerente”. Il procuratore generale della California, Xavier Becerra, sta rivedendo la mozione, mentre la normativa in oggetto, chiamata dalla stampa americana AB5, è oggetto di questa e altre sfide legali.

I difensori della normativa sostengono che sia il modo con il quale la legge può proteggere gli oltre 450mila lavoratori indipendenti che vivono in California e che, tramite un modello di business basato sull’uso di app e sulla gig economy, vengono impiegati come appaltatori esterni per portare a destinazione persone, pacchi o cibo grazie ai servizi resi possibile dalla app economy.

Invece Uber e Postmates, oltre ad altre aziende basate sull’utilizzo di app, sostengono che la normativa compromette la flessibilità amata dalla loro forza lavoro e che verrebbero assunti molti meno lavoratori se questi dovessero essere considerati dei dipendenti e non più dei fornitori esterni. Secondo i rappresentanti delle aziende, come riporta la stampa Usa, la normativa cerca di colpire in modo neanche troppo nascosto le aziende della gig economy. La discriminazione che introdurrebbe sui lavoratori che vengono chiamati tramite app avrebbe come effetto ultimo quello di violare il principio di uguale protezione garantito dalla Costituzione degli Stati Uniti e da quella della California. “La norma – è scritto nella mozione presentata alla Corte – creerebbe un pregiudizio irreparabile alla rete di aziende e ai fornitori indipendenti di servizi tramite app negando loro il loro diritto costituzionale di essere trattati alla pari rispetto ad altri che si trovano in situazioni simili”.

Gli effetti della normativa non sono chiari, ma nella mozione legale è stato citato uno studio secondo il quale nel medio periodo i costi di una azienda come Lyft aumenterebbero del 20% e porterebbero alla diminuzione dei driver californiani di ben 300mila unità.

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