Il minstro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, insiste sulla “nuova” web tax. E spiega il motivo dell’abbattimento dei tetti – almeno 750 milioni di euro a livello globale e ricavi da servizi digitali non inferiore 5,5 milioni in Italia – a valle del quale ad essere obbligate al pagamento dell’imposta sarebbero anche le pmi.
Giorgetti: “Eliminiamo una discriminazione”
In audizione sulla manovra di fronte alle Commissioni Bilancio congiunte, Giorgetti ha ricordato “che viene estesa l’applicazione della cosiddetta web tax, attraverso l’eliminazione delle soglie attualmente previste in termini di fatturato globale e locale”.
“Tale circostanza elimina la caratteristica di ‘discriminazione’ alla base della contestazione Usa che avevano originato ritorsioni commerciali al momento dell’introduzione”, ha spiegato.
La battaglia in Parlamento
Intanto in Parlamento sono in preparazione una serie di emendamenti per modificare la nuova norma.
A preannunciarli a nome di Forza Italia è Antonio Tajani: “Si può lavorare modificando la ‘web tax’ perché bisogna colpire i giganti del web e non le piccole imprese – ha affermato nei giorni scorsi – Questo sarebbe un errore. La linea del governo è un’altra – afferma il vicepresidente del Consiglio e leader di FI – bisogna tagliare lacci e laccioli alle imprese, non controllarle con uno Stato che opprime. Meno Stato c’è e meglio è. Più impresa c’è e meglio è. La libertà si basa sulla centralità della persona e della famiglia – conclude – poi viene lo Stato che deve servire famiglie e persone e quindi le imprese. Non è lo Stato che deve essere servito, i controlli invasivi non vanno assolutamente bene. Ne parleremo in dibattito in Parlamento”.
Gasparri: “A pagare siano i colossi della rete”
A rafforzare il concetto interviene Maurizio Gasparri: “Forza Italia presenterà degli emendamenti alla manovra per correggere gli errori sulla web tax che deve essere pagata dai colossi della rete, non dai siti di giornali o tv”, spiega il senatore intervenendo alla presentazione della proposta di FI per la riforma del sistema radiotelevisivo e delle comunicazioni.
Bocciato l’emendamento del Pd
Dal Pd alza il tono della polemica Virginio Merola, capogruppo in commissione Finanze della Camera: “In commissione – spiegava – la maggioranza e il governo hanno respinto un emendamento a firma Pd contro l’estensione della web tax alle piccole e medie imprese. In assenza di uno straccio di politica industriale – attacca – la destra procede con misure contrarie alla crescita economica e alle imprese”.
L’allarme delle associazioni
L’ultima, in ordine di tempo, ad evidenziare gli impatti della “nuova” web tax sull’ecnonomia italiana è Assodigit. Secondo l’associazione, da anni impegnata nella promozione della digitalizzazione delle pmi italiane, la tassa rischia di incidere pesantemente sulle pmi e sulle startup, già impegnate a competere in un contesto sempre più digitalizzato.
“Estendere la Web Tax a tutte le imprese senza considerare le dimensioni mette a rischio il tessuto delle PMI, che spesso operano con margini ridotti e potrebbero non essere in grado di sostenere l’onere di una tassa basata sui ricavi lordi e non sugli utili – spiega il presidente Giovanni Cinquegrana – Questa misura rischia di penalizzare fortemente l’innovazione e gli investimenti nel digitale, scoraggiando la crescita di nuovi player nel settore tecnologico italiano”.
Per ItaliaFintech, “l’eliminazione delle soglie minime di fatturato rischia di penalizzare tutte le imprese digitali italiane, inclusi gli stadi iniziali delle startup, imponendo una tassazione sul fatturato anziché sugli utili, con potenziali effetti negativi sulla competitività e occupazione”, puntualizza il presidente Michelangelo Bottesini.
Preoccupazione era stata espressa da Netcomm. “La tassa rischia di ridurre il Pil e, a lungo termine, anche il gettito fiscale complessivo, dato che le imprese sarebbero costrette a rallentare le attività di investimento o delocalizzare – spiegava all’indomani del via libera della manovra in Cdd, il presidente Roberto Liscia – Questo crea un ciclo negativo in cui l’imposizione fiscale riduce la competitività delle imprese, rallentando lo sviluppo economico nazionale”.
E anche il settore editoriale lanciava l’allarme, con la Fnsi che accendeva i riflettori sugli “effetti controproducenti sulla tenuta occupazionale di un settore messo già a dura prova” e la Fieg che evidenziava il rischio di una duplice tassazione per le imprese del settore.