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Google & Co., caccia grossa alle startup dello spazio

Le multinazionali dell’hi-tech puntano alle nuove società lanciate nel mercato satellitare. L’ondata di finanziamenti a favore di tecnologie per l’accesso “spaziale” a Internet. In prima fila l’azienda di Mountain View, ma anche Qualcomm e Virgin

Pubblicato il 21 Gen 2015

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Gli investitori americani hanno ancora voglia di puntare sulle startup, comprese le più visionarie e ambiziose dell’industria spaziale. E questo nonostante l’incidente del razzo Virgin Galactic e Orbital Sciences, dello scorso ottobre, che ha drammaticamente rammentato i rischi connessi con i viaggi commerciali nello spazio. Ma la nuova ondata di fundraising nel settore negli Stati Uniti dimostra che gli investitori non hanno perso affatto l’entusiasmo.

Planet Labs, startup di San Francisco che gestisce decine di piccoli satelliti che fotografano la Terra, ha appena annunciato un round di finanziamenti da 95 milioni di dollari, con in prima fila la società del venture capital della Silicon Valley, Data Collective. E questo nonostante Planet Labs abbia perso 26 dei suoi satelliti quando il razzo Antares della Orbital Sciences è esploso dopo il lancio.

Solo una settimana fa è stato lanciata OneWeb, società che intende usare dei satelliti in orbita bassa per le telecomunicazioni e ha il sostegno di Sir Richard Branson del gruppo Virgin e del colosso califoniano dei chip Qualcomm. Come spiega oggi il Financial Times, OneWeb, Planet Labs e società simili vogliono sfruttare i vantaggi della miniaturizzazione e il calo dei costi dei componenti per produrre satelliti che possono fornire connessioni Internet a una frazione del costo dei tradizionali satelliti geostazionari. Il programma di OneWeb ha un costo di circa 2 miliardi di dollari, secondo il suo fondatore Greg Wyler.

A far concorrenza a OneWeb c’è SpaceX: il suo fondatore e Ceo Elon Musk, che è anche Ceo del produttore d’auto elettriche Tesla, ha in mente di creare una costellazione di centinaia di satelliti per le comunicazioni su orbita bassa. Il costo per costruire il sistema, ha rivelato Musk a Bloomberg, è di almeno 10 miliardi di dollari. Una somma considerevole, ma Musk ha sicuramente accesso ai capitali: pochi giorni fa SpaceX ha annunciato un nuovo round di finanziamenti da 1 miliardo di dollari capeggiato da Google e Fidelity.

Il finanziamento di Google non stupisce: sia Big G che Facebook sperimentano da tempo nuove tecnologie per essere le prime aziende a portare servizi Internet ai miliardi di persone che ancora non hanno accesso alla Rete. Come noto Google lavora anche al suo Project Loon, che tenta di portare connettività nelle aree remote con i palloni aerostatici, e ha comprato l’anno scorso Skybox Imaging, società concorrente di Planet Labs, per 500 milioni di dollari.

Queste start-up sono attive in campi che hanno dei punti di contatto – la nuova generazione di satelliti che fotografano la Terra nel caso di Planet Labs e Skybox, satelliti per le comunicazioni per quanto riguarda SpaceX e OneWeb. Tuttavia la tecnologia dei cosiddetti satelliti per l’imaging è in uno stadio più avanzato. Planet Labs ha già messo 67 satelliti in orbita con quattro lanci lo scorso anno. Se la missione di Antares fosse riuscita, il numero dei suoi satelliti sarebbe quasi arrivato a 100.

Inoltre Will Marshall, Ceo di Planet Labs, dice che l’incidente dell’Antares ha dimostrato la flessibilità della nuova industria spaziale, capace di recuperare e lanciare nuovi satelliti in tempi molto rapidi: infatti Planet Labs ha poi costruito due nuovi satelliti e li ha portati nello spazio nel giro di nove giorni. E’ anche questa flessibilità e resistenza a convincere gli investitori a continuare a puntare sulle start-up dello spazio, nonostante i rischi.

Planet Labs ora ha intenzione di usare i 70 milioni di dollari di venture funding, più un prestito di 25 milioni, per sviluppare le sue capacità di elaborare, interpretare e vendere i dati che sono contenuti nelle immagini che i satelliti catturano, oggi settimanalmente ma presto giornalmente. E’ questo progetto che ha attratto l’interesse – e i soldi – del fondo Data Collective, che ha già dato il suo sostegno a molte start-up dei Big data. “Ci ha attratto la quantità di dati unici e di alta qualità che questa società riesce a ottenere a costi imbattibili”, dice Matt Ocko, socio di Data Collective. Ocko è convinto che Google, SpaceX o altre società non possano minacciare il business di Planet Labs nel breve termine, per via del know-how tecnico e operativo, e che Planet Labs valga “parecchio di più” dei 500 milioni di dollari che Google ha pagato per Skybox.

Secondo Steve Jurvetson, socio di DFJ, società del venture capital e uno dei primi a investire sia in Planet Labs che in SpaceX, le valuazioni delle start-up dello spazio continueranno a salire perché le nuove aziende sono molto più agili ed efficienti delle rivali. “Ogni volta che un’azienda di punta ha successo, genera entusiasmo per altre aziende dello stesso settore”, sottolinea Jurvetson riferendosi a SpaceX. “Gli investitori capiscono quanto terribilimente non competitive siano le aziende tradizionali. Le start-up hanno un potenziale eccezionale”.

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