TASSE

Google & Co, il Governo studia una tassa ad hoc

Sul tavolo di Matteo Renzi la proposta del viceministro Enrico Zanetti: ritenuta alla fonte del 25% sui guadagni realizzati in Italia. Boccia (Pd): “Non è la strada migliore”

Pubblicato il 24 Apr 2015

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Una ritenuta alla fonte del 25%, operata da banche e intermediari, sui pagamenti a favore dei giganti di internet, da Google a Facebook ad Amazon. E’ questa la strategia escogitata dal governo, secondo quanto anticipqa oggi il Corriere della Sera, per costringere gli Over the Top a pagare le tasse sui profitti realizzati in Italia, finora non pagate grazie all’escamotage di aver fissato la propria sede in paesi con regimi fiscali vantaggiosi, come nel caso del Lussemburgo o dell’irlanda.

A fronte di un fatturato “italiano” di circa 11 miliardi di euro – si legge sul quotidiano – le società che operano via Internet pagano all’erario meno di 10 milioni di euro l’anno, cioè meno dell’1 per mille. Con la sede sociale in Paesi a fiscalità privilegiata, una struttura societaria complessa, e giocando sui prezzi di trasferimento infragruppo, riescono alla fine quasi a non pagare le imposte, se è vero che in media, a livello mondiale, versano l’1% del fatturato. Un problema che è ormai entrato anche nell’agenda dell’Ocse, che ha cominciato a elaborare le proposte per risolverlo, e l’Italia è pronta a sfruttarle.

Così sul tavolo del presidente di Matteo Renzi c’è da qualche giorno un piano che prevede l’applicazione di una ritenuta alla fonte del 25%, operata da banche e intermediari, sui pagamenti a favore delle multinazionali con sede all’estero. Per evitare l’imposizione anche nel paese di residenza, a queste società verrebbe riconosciuto un credito d’imposta pari all’importo delle tasse versate in Italia.

La proposta che ora è all’esame della presidenza del Consiglio, ricostruisce il Corriere della Sera, nasce da un’idea di Scelta Civica, messa a punto nei dettagli dal sottosegretario all’Economia, Enrico Zanetti. L’obiettivo è inserirla a giugno nel nuovo pacchetto di decreti legislativi di attuazione della delega per la riforma fiscale. La ritenuta alla fonte scatterebbe sul presupposto dell’esistenza di una “stabile organizzazione virtuale” basata sul concetto di una presenza “digitale”, anche se non fisica, “significativa”. L’obbligo della ritenuta scatterebbe nel momento in cui tale “presenza” viene rilevata sul circuito dei pagamenti, al superamento di determinate soglie: al momento è previsto un fatturato di un milione in sei mesi. La ritenuta salirebbe al 30%, come sulle prestazioni in Italia degli artisti stranieri, nel caso – improbabile – che a ricevere i pagamenti sia una persona fisica.

“È evidente che, se le indiscrezioni giornalistiche dovessero trasformarsi in un provvedimento del governo, lo sosterrò; è un passo in avanti nel contrastare l’elusione fiscale delle grandi multinazionali del web che permetterebbe allo Stato italiano di recuperare gettito”, afferma Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera, intervenendo al seminario “Fiscalità nell’economia digitale”, organizzato a Montecitorio da Confindustria Digitale. “Ma resto convinto – aggiunge – che questa non sia la strada migliore. Così facendo il nostro Paese seguirebbe l’esempio inglese che, tradotto, vuol dire: in UE non si è riusciti ad arrivare ad un’armonizzazione fiscale nell’economia digitale e ogni Paese fa a modo suo. Sarebbe l’ennesimo fallimento dell’Ue, e lo dico da europeista convinto”.

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