Presa d’assalto dalle cause intentate da emittenti ed editori
sulla trasmissione di contenuti audiovisivi su YouTube, Google ha
deciso di correre ai ripari: allo studio una formula “premium”
per video più lunghi, come i film e gli show televisivi, da
offrire a pagamento, in accordo con le case produttrici. Una
formula che dovrebbe anche consentire all’azienda guidata da Eric
Schmidt di cominciare a generare profitti.
Ieri Mediaset ha vinto in Tribunale la “battaglia dei video”.
Secondo la nona sezione civile del tribunale di Roma, YouTube e
Google non vanno considerati semplici service provider, ma veri e
propri editori, con il conseguente obbligo di controllare quanto
pubblicato dagli utenti per evitare violazioni del diritto
d’autore.
Il giudice Tommaso Marvasi con un’ordinanza ha imposto a Youtube
di rimuovere tutti i video relativi al “Grande Fratello 10” ora
ospitati sui server del sito di proprietà di Google. Una vittoria
per il momento parziale considerato che la causa avviata da
Mediaset nel 2008 – l’azienda chiede danni per 500 milioni di
euro – è ancora in corso. Il gruppo televisivo presieduto da
Fedele Confalonieri e guidato da Piersilvio Berlusconi ha
sottolineato che l’ordinanza “non censura Internet ma ne
allarga i confini. Tutti gli editori, Mediaset in testa, possono
ora investire nella propria offerta gratuita sul web a beneficio
dei navigatori, certi di un contesto di regole definite. Tutti gli
operatori web, a cominciare da Youtube, potranno stringere accordi
con Mediaset e gli altri editori in un quadro di legalità e di
reciproca soddisfazione”.
Google però si prepara a difendersi, eventualmente ricorrendo in
appello. E fa sapere che a disposizione di editori e broadcaster
c’è la soluzione content Id che oltre mille broadcaster tra cui
Rai e Fox Channels Italy, hanno già scelto di utilizzare.
“Mediaset potrebbe semplicemente unirsi a questi altri partner e
utilizzare questi strumenti. Oppure, in alternativa, basterebbe che
ci segnalasse le url dei video e noi provvederemo alla loro
rimozione”.
Oltre al problema cause Google sta cercando di affrontare quello
dei profitti di YouTube: l’azienda ha acquistato il sito di video
sharing per 1,6 miliardi di dollari nel 2005 e non ha mai generato
profitti (anche se il prossimo anno potrebbe raggiungere il break
even, secondo alcuni analisti). L’azienda è riuscita a stringere
diversi accordi con i broadcaster, ma molti produttori di cinema e
tv sono restii a mettere i loro video su Youtube perché il modello
sostenuto solo dalla pubblicità non garantisce grandi guadagni. Di
qui la possibile apertura ai contenuti a pagamento, anticipata da
David Eun, vice-president di Google per la alleanze sui contenuti:
“Siamo pronti a scommettere su contenuti di formato più lungo.
Non tutti i generi possono essere accessibili col modello
finanziato dalla pubblicità”.
Una concessione ai detentori del copyright, ma anche una mossa che
mette Youtube in concorrenza diretta con Hulu e con la Internet tv,
secondo gli analisti. La formula a pagamento non è però per
l’immediato futuro, ha chiarito Eun, e se arriverà, sarà prima
testata solo negli Stati Uniti. Insomma, Youtube resta legata al
modello free. Sui servizi premium si muoverà con i piedi di
piombo. "Se continuiamo a concentrarci sul nostro modello
basato sulla pubblicità creeremo importanti possibilità di
generare revenue”, ha detto Eun. “Le opportunità maggiori oggi
restano legate all’advertising e noi siamo solo all’inizio”.