PRIVACY

Google, Corte di Giustizia Ue: “Nessun obbligo su diritto all’oblio”

La Corte di Giustizia Ue accoglie il ricorso di Google Spain contro l’Agenzia spagnola di protezione dei dati. Secondo l’avvocato generale, Niilo Jaaskinen, i motori di ricerca non sono responsabili dei dati personali pubblicati nelle pagine web di terzi

Pubblicato il 25 Giu 2013

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Google non è tenuto a far valere il diritto all’oblio e a cancellare i dati personali pubblicati da altri siti e che Google trova: è quanto ha concluso l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue, dando ragione a Google Spain che aveva presentato un ricorso contro l’Agenzia spagnola di protezione dati. L’autorità aveva imposto a Google di cancellare i dati di un privato pubblicati su un giornale online, perché egli non voleva più essere trovato con le ricerche web.

Secondo Niilo Jaaskinen, l’avvocato generale della Corte – le cui conclusioni sono quasi sempre recepite dalle sentenze – “i fornitori di servizi di motore di ricerca non sono responsabili, ai sensi della direttiva sulla protezione dei dati, del fatto che nelle pagine web che essi trattano compaiano dati personali”. Secondo l’avvocato generale, Google “non va considerato come responsabile del trattamento dei dati personali che compaiono nelle pagine web che tratta”. Infatti, fornire uno strumento per la localizzazione dell’informazione “non implica alcun controllo sui contenuti presenti nelle pagine web di terzi e non mette neppure il fornitore del motore di ricerca in condizione di distinguere tra i dati personali secondo la direttiva (che si riferisce ad una persona fisica vivente e identificabile) e gli altri dati”.

Quindi, “un’autorità nazionale per la protezione dei dati non può imporre ad un fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet di eliminare informazioni dal suo indice, tranne nei casi in cui tale fornitore non abbia rispettato i codici di esclusione o non si sia conformato ad una richiesta proveniente dal sito web concernente un aggiornamento della memoria cache”. Infine, l’avvocato ricorda che “la direttiva non istituisce un diritto all’oblio generalizzato. Questo non può pertanto essere fatto valere nei confronti di fornitori di servizi di motore di ricerca fondandosi sulla direttiva, neppure con un’interpretazione alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”.

Intanto in Italia il tribunale di Milano stabilisce che le imprese sleali non possono chiamare in causa Google per giustificare le proprie condotte, in violazione delle norme sulla concorrenza. Con l’ordinanza è stato inibito l’uso non autorizzato di una parola corrispondente a un marchio altrui come keyword di link sponsorizzati in relazione al servizio AdWords di Google.

A chiedere l’intervento del tribunale – spiega il Sole 24 Ore – era stata una srl attiva nella produzione di vasche da bagno e piatti doccia, titolare di marchio e del relativo domain name. Il medesimo segno era però contemporaneamente usato da un altro imprenditore come AdWord. In questo modo il marchio della srl veniva usato come “esca” per attrarre clienti sul sito dell’imprenditore.

Il tribunale di Milano, richiamando un precedente della Corte di Giustizia Ue, ricorda che l’uso , non consentito dal titolare, di una parola corrispondente al marchio altrui per aprire un link sponsorizzato costituisce contraffazione.

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