Avevo appena finito di leggere, con qualche scetticismo, le dichiarazioni del G20 di Pietroburgo contro l’“evasione fiscale” e l’emendamento Pd alla delega fiscale per tassare gli Ott, quando mi è apparsa a video l’affascinante ministra digitale francese Fleur Pellerin, prima minigonna a varcare il portone di Palais Bourbon, un volto orientale perfetto che sembra uscito da Second Life: “L’Europa tassi Amazon”, afferma, e convoca un vertice (informale) di sette paesi, compreso il nostro, in pieno stile “eccezione culturale”.
I suoi dati sono analoghi a quelli nostrani: nel 2011 gli Ott americani hanno pagato in Francia tasse per 37,5 milioni di euro, dichiarando solo attività di marketing o comunicazione e con una modestissima occupazione. I loro fatturati pubblicitari sul mercato francese però avrebbero prodotto, secondo i francesi, una tassazione di 830 milioni. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
1) non è un problema di evasione fiscale né di paradisi svizzeri o caraibici (citati da Enrico Letta ai dipendenti Equitalia, 24 luglio 2013), ma di tasse lecitamente pagate altrove.
2) non è un problema con gli americani, ma con i fraterni amici europei. Il Lussemburgo è il luogo più conveniente per stabilire una società che risulti europea; l’Irlanda ha invece la tassazione più favorevole se la società lussemburghese stabilisce il proprio “stabilimento” (si fa per dire) in quel paese. Il gioco è fatto, legale. L’Europa, prima di lanciare proclami, si metta d’accordo con se stessa.
3) Le tasse sono dovute nel paese dove sono generati i ricavi. La ripartizione, lo “aportionment”, è facile a dirsi, meno a farsi. Seduto nella mia stanzetta di Roma vado su eBay e compro una lampada da tavolo che mi piace. Il venditore è danese, e pagherà le tasse in Danimarca. Legittimamente. Nulla di questa transazione resterà in Italia, salvo la lampada, che è comunitaria e quindi non paga alcun dazio. Quindi, un atto d’acquisto compiuto in Italia, e che si conclude con il trasferimento di un bene materiale che sarà utilizzato in Italia, al fisco italiano non porta nulla. Nemmeno nel caso ipotetico che il venditore danese avesse in Italia una ditta che fa comunicazione per lui. La società di comunicazione, di diritto italiano, pagherebbe le tasse sulle transazioni che fa (ad esempio, acquistando pubblicità da un giornale italiano dovrebbe onorare una fattura gravata da Iva); ma nessuno impedisce al nostro amico danese di vendere e spedire la lampada da Copenhagen, magari facendola entrare in Europa (pagando il relativo dazio di dogana) da Taiwan. Pensate se invece di un oggetto materiale comprate un’inserzione su Google, secondo tariffe e modalità di esecuzione e contabilità completamente immateriali e impalpabili. Dunque cari amici, se non volete fare della politique politicienne (delle chiacchiere roboanti), pensatela meglio.