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Google, l’accordo con la Ue non piace ai competitor

Troppe falle nell’intesa raggiunta con la Commissione Ue a inizio anno per “correggere” il predominio del motore americano nelle ricerche online. E’ la denuncia di un gruppo di aziende concorrenti secondo le quali le misure proposte rafforzerebbero la posizione di Big G

Pubblicato il 14 Mag 2013

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Ai rivali di Google non basta: l’accordo antitrust che il colosso di Internet ha proposto alla Commissione Ue viene considerato debole e insufficiente a sanare gli squilibri esistenti sul mercato della ricerca online. Google aveva raggiunto un mese fa un accordo temporaneo con Joaquín Almunia, commissario Ue alla concorrenza, che ha poi invitato i concorrenti che avevano fatto appello a Bruxelles per presunto abuso di posizione dominante – un gruppo formato da Microsoft, dai siti di viaggi online TripAdvisor ed Expedia, da editori di giornali, siti di mappe e siti di shopping comparativo – a sottomettere commenti e critiche.

Ora i concorrenti di Google hanno inviato una risposta a Bruxelles con la propria opinione formale: questo accordo – dicono – rischia di produrre l’effetto contrario, scoraggiando gli utenti dal visitare i siti rivali, perché, se l’intento è di costringere Big G a visualizzare tra i suoi risultati più servizi concorrenti, alcune falle ne limiterebbero l’efficacia.

I concorrenti concentrano l’attenzione in particolare sulle misure disegnate per ridurre il rischio che Google indirizzi slealmente gli utenti verso i propri servizi specializzati, come le mappe o i siti sponsorizzati, sottraendo traffico a servizi non collegati con Google.

Nell’accordo stretto con Almunia, Google acconsente, in precise circostanze, ad includere i link a siti rivali nei pannelli in cima ai risultati delle sue ricerche, che al momento mostrano solo i servizi verticali di Big G. Tuttavia questi pannelli mostrano risultati che gli inserzionisti hanno pagato per avere in cima alle pagine, per cui anche i rivali dovranno pagare per essere inclusi tra i primi link.

I concorrenti sostengono perciò che questi “link a pagamento” rappresentano “potenzialmente una catastrofica escalation dell’abuso di Google, in quanto forniscono un nuovo potentissimo strumento anti-concorrenziale che in molti casi metterebbe nelle tasche di Google la maggior parte dei profitti dei suoi rivali”, afferma oggi sulle pagine del Financial Times Foundem, azienda britannica di shopping comparativo, che è tra i critici più attivi dell’accordo. Secondo Foundem, la misura proposta da Google finisce col convertire una quota maggiore dei suoi servizi in risultati a pagamento.

Altri rivali parlano di possibile creazione di “link orfani”, cioè troppo piccoli e privi di dettagli, e quindi incapaci di attrarre traffico, mentre alcuni trovano falle nel sistema d’asta con cui Google propone di vendere i link, perché, a differenza del normale servizio di search advertising, le aziende possono presentare una sola offerta indipendentemente dal tipo di ricerca che farà apparire il loro link e senza il sistema di pricing dinamico normalmente concesso agli inserzionisti di Google.

Infine, le aziende rivali fanno notare che l’accordo proposto da Google non tiene conto di possibili cambiamenti futuri nel servizio di ricerca di Mountain View, per esempio la funzionalità di ricerca vocale sui device mobili: l’accordo copre solo le ricerche che si fanno su tramite la “general search box”.

“Considereremo con attenzione i commenti ricevuti in seguito al market test”, ha fatto sapere un portavoce della Commissione Ue. Il prossimo mese Almunia deciderà se chiedere a Google più ampie concessioni per evitare un possibile esposto formale dei suoi concorrenti.

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