IL CASO

Google, nuova tegola legale negli Usa: nel mirino il Play store

Quarta causa antitrust negli Usa: 36 Stati accusano Big G di “soffocare” gli store di app Android rivali per mantenere un quasi-monopolio e proteggere le commissioni a danno di consumatori e sviluppatori

Pubblicato il 08 Lug 2021

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I procuratori generali degli Stati Usa tornano a far causa a Google per motivi antitrust, mettendo questa volta nel mirino il Play Store, il negozio di applicazioni mobili per i dispositivi Android. I procuratori (di 36 Stati più il District of Columbia) sostengono che il colosso di Mountain View abusa del suo potere nei confronti degli sviluppatori di app.

Si tratta della quarta causa legata a presunta violazione delle regole di mercato che viene intentata contro Google dalle autorità statali o federali degli Stati Uniti. Questa nuova causa è stata depositata presso il Northern District of California.

L’accusa: monopolio nell’ecosistema Android

L’accusa afferma che Google ha usato tattiche anti-competitive per guadagnare una commissione del 30% sul prezzo che i consumatori pagano quando acquistano abbonamenti e contenuti digitali dai loro cellulari Android. Gli sviluppatori di app, sostengono i procuratori generali, non hanno altra scelta che usare il software di Google per la distribuzione, in parte perché Google “ha preso di mira gli app store potenziamente concorrenti”.

A loro volta i consumatori non hanno alternative, perché Android è il sistema operativo dominante sui dispositivi mobili. Negli Usa il Google Play Store distribuisce oltre il 90% delle app Android, riporta Reuters in base ai documenti dell’accusa. Nessun altro store di applicazioni Android ha una quota di mercato superiore al 5%.

Google “spazza via la concorrenza”

Nella causa si sostiene che Google ha provato a “eliminare dal mercato” Samsung, principale produttore di cellulari Android, offrendole incentivi per trasformare il Galaxy app store in una piattaforma “white label” del Play Store. In passato, continua l’accusa, Google ha soffocato i tentativi di Amazon di usare il proprio negozio di app su Android.

“Il consolidato monopolio di Google sui mercati della distribuzione di app e di acquisti in-app per dispositivi Android non si basa sulla concorrenza in base al merito, ma tramite condizioni tecnologiche e contrattuali artificiali che Google impone sull’ecosistema Android”, affermano i legali degli Stati Usa.

Ciò danneggia i consumatori innanzitutto riducendo il tasso di innovazione sul mercato: Google continuano i procuratori generali, non ha incentivo a offrire un servizio migliore o, come si legge nella causa, “una migliore esperienza di distribuzione delle app”, perché non c’è concorrenza. Google sarebbe concentrata solo sul mantenere il monopolio, estrarre alte commissioni, e togliere dal mercato i potenziali rivali.

I fronti antitrust aperti negli Usa

Negli Stati Uniti Google ha ancora aperta una causa antitrust intentata dal dipartimento di Giustizia e da un gruppo di Stati Usa che prende di mira i contratti con cui l’azienda impone ai produttori di cellulari di inserire di default le sue app sui device che usano il sistema operativo Android.

Google ha definito l’azione legale  “profondamente sbagliata” e ha chiarito che il suo vantaggio competitivo deriva dall’offerta di un prodotto che miliardi di persone scelgono di utilizzare ogni giorno.

Un’altra causa è stata intentata da dieci Stati Repubblicani guidati dal procuratore generale del Texas, Ken Paxton. L’azione legale si fonda sull’accusa che Google abbia abusato della posizione sul mercato della pubblicità online e abbia illecitamente cooperato con Facebook per ampliare il suo potere dominante.

Google ha replicato difendendo Open Bidding come strumento che avvantaggia gli editori. L’accordo con Facebook èpubblico e si limita a permettere al social media e ai suoi inserzionisti di partecipare ad Open Bidding; Google – ha sottolineato con forza l’azienda – non manipola le aste delle ads a favore di Facebook.

Contro Google c’è anche la causa antitrust guidata da Colorado e Nebraska che hanno riunito un gruppo ancora più numeroso di Stati e territori americani (38). L’azione legale va oltre il dominio sul mercato della pubblicità per allargarsi a numerosi ambiti dell’attività di Big G. Tra questi c’è la ricerca online, dove Google – sostiene l’accusa – limita i fornitori verticali di servizi di ricerca come Yelp e Tripadvisor tramite “una condotta discriminatoria” che li escluderebbe dalle posizioni prominenti nei risultati di ricerca. Sullo stesso tema si focalizza una causa separata avviata lo scorso ottobre dal dipartimento di Giustizia.

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