IL CASO

Google pagherà 118 milioni di dollari per discriminazione salariale

Lo ha stabilito il tribunale di San Francisco dopo la causa intentata nel 2017 da quattro dipendenti che accusavano l’azienda di pagare le donne meno degli uomini. Firmata la transazione con BigG che risarcirà oltre 15mila lavoratrici. L’azienda: “Crediamo fermamente nell’equità. Pronti a migliorare in futuro”

Pubblicato il 13 Giu 2022

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118 milioni di euro. È quanto Google ha accettato di pagare per risolvere una causa collettiva per discriminazione di genere. La causa era stata intentata nel 2017 da alcune ex dipendenti donne per il presunto inserimento in mansioni di livello inferiore rispetto a maschi ugualmente qualificati, con conseguente retribuzione più bassa. Hanno inoltre accusato l’azienda di aver negato loro promozioni o passaggi ad altri team per un migliore avanzamento di carriera. In un comunicato, gli studi legali che hanno rappresentato le querelanti Kelly Ellis, Holly Pease, Kelli Wisuri e Heidi Lamar hanno dichiarato che l’accordo riguarda circa 15.500 dipendenti donne con 236 mansioni che hanno lavorato presso Google in California dal 14 settembre 2013. Nell’ambito dell’accordo- lo ha stabilito il tribunale di San Francisco –  un esperto terzo indipendente analizzerà le pratiche di livellamento al momento dell’assunzione da parte di Google e un economista del lavoro indipendente esaminerà gli studi sull’equità retributiva dell’azienda. Il lavoro successivo all’accordo sarà supervisionato da un osservatore esterno nei prossimi tre anni.

Il commento di Google

“Crediamo fermamente nell’equità delle nostre regole e pratiche, ma dopo quasi cinque anni entrambe le parti riconoscono che sia nel migliore interesse di tutti porre fine al contenzioso, senza alcuna ammissione né evidenza – commenta Google in una nota inviata a CorCom – Siano contenti di aver raggiunto questo accordo e continueremo a impegnarci affinché le retribuzioni, le assunzioni e le promozioni siano eque e adeguate. Negli ultimi nove anni abbiamo condotto una rigorosa analisi sull’equità delle retribuzioni per assicurarci che stipendi, bonus e premi fossero adeguati. Se riscontriamo differenze nelle retribuzioni proposte, anche tra uomini e donne, effettuiamo aggiustamenti al rialzo per eliminarle prima che i nuovi compensi entrino in vigore, e continueremo a farlo”.

“Solo nel 2020, abbiamo apportato aumenti per 2.352 dipendenti, in quasi tutte le categorie demografiche, per un totale di 4,4 milioni di dollari – sottolinea – Intraprendiamo anche analisi rigorose per garantire l’equità nell’attribuzione dei livelli e dei ruoli così come nella valutazione delle prestazioni. Siamo molto lieti di permettere a un consulente di esaminare questi processi e formulare delle raccomandazioni per poter migliorare nel futuro”.

Le accuse

Nel dettaglio le ex dipendenti hanno accusato la compagnia di aver violato “l’Equal Pay Act” della California – legge federale sulla parità di retribuzione tra uomini e donne, firmata dal presidente Kennedy nel 1963 -. Il Wall Street Journal riporta i nomi di quattro dipendenti che si sono rivolti al giudice: Kelly Ellis, Holly Pease, Kelli Wisuri e Heidi Lamar. Tutti ex lavoratrici di Google.

Kelly Ellis lavorava come ingegnere di software presso l’ufficio di Mountain View di Google per quattro anni, a partire dal 2010. Quando ha lasciato la compagnia nel 2014 – così nella ricostruzione del Wall Street Journal – era in una posizione di senior manager, ma lasciò l’azienda “a causa della cultura sessista dell’azienda”: Ellis ha affermato di essere stata pagata come un ingegnere di livello base, nonostante avesse quattro anni di esperienza. Mentre un collega di sesso maschile – con stessa laurea ma con meno esperienza – “veniva pagato di più“.

Nel 2018, un giudice di San Francisco ha disposto un’ordinanza restrittiva ad un ex appaltatore di Google, che avrebbe scritto su Twitter che “Ellis meritava di essere violentata per aver citato in giudizio l’azienda”. Holly Pease invece, è stata dipendente della compagnia per più di 10 anni, ricoprendo numerosi ruoli tra cui quello di senior manager dell’integrazione dei sistemi aziendali e manager di dati aziendali. Pease ha affermato di essere “ottimista sul fatto che le azioni che Google ha accettato di intraprendere come parte di questo accordo, assicureranno maggiore equità per le donne”.

Il caso dell’AI “senziente”

Intanto Google allontana, mettendolo in congedo retribuito, uno dei suoi ingegneri responsabili dell’organizzazione dell’intelligenza artificiale. La decisione segue la pubblicazione da parte di Black Lemoine della trascrizione di una sua comunicazione con l’interfaccia LaMDA – Language Model for Dialogue Applications – che stava sviluppando. Lemoine ha iniziato a lavorare al sistema nel 2021 e, con il passare dei mesi, ha notato che era diventato senziente e in grado di intrattenere conversazioni su religione, coscienza e robotica.

“Se non avessi saputo cos’era avrei pensato che si trattava di un bimbo di sette-otto anni”, ha spiegato Lemoine al Washington Post. Lemoine ha comunicato ai manager di Google le capacità di LaMDA e le sue preoccupazioni al riguardo, ma è stato respinto. Secondo il quotidiano l’ingegnere è stato allontanato per aver cercato di contattare la commissione giustizia della Camera in merito a presunte pratiche non etiche di Google. Mountain View precisa invece che la sospensione è legata alla violazione delle politiche di riservatezza della società e spiega che a Lemoine è stato detto chiaramente che non c’erano prove del fatto che LaMDA fosse senziente. L’episodio solleva dubbi sulla trasparenza dell’intelligenza artificiale e di come viene e possa essere usata.

“È importante che i Principi di Google per l’intelligenza artificiale siano integrati in ogni progetto di intelligenza artificiale che sviluppiamo, e così è stato per LaMDA. Anche se altre organizzazioni hanno sviluppato e rilasciato modelli simili basati sul linguaggio, con LaMDA stiamo adottando un approccio prudente e attento, per tenere conto al meglio delle problematiche legate a equità e fattualità – spiega BigG a CorCom – LaMDA è stato sottoposto a 11 diverse revisioni sulla base dei nostri Principi per l’intelligenza artificiale, oltre che a ricerche e test rigorosi basati su parametri chiave di qualità, sicurezza e capacità del sistema di produrre dichiarazioni fattuali. Un documento di ricerca pubblicato all’inizio di quest’anno descrive in maniera approfondita il lavoro svolto per lo sviluppo responsabile di LaMDA”.

“Naturalmente, parte della comunità scientifica che si occupa di intelligenza artificiale sta considerando la possibilità, sul lungo termine, di un’intelligenza artificiale senziente o evoluta, ma non ha senso farlo attribuendo caratteristiche umane agli attuali modelli di conversazione, che non sono senzienti – prosegue Google – Questi sistemi imitano i tipi di scambi che si trovano in milioni di frasi e possono trattare qualsiasi argomento fantasioso: se, per esempio, si domanda a questo modello com’è essere un dinosauro-gelato, il modello potrebbe generare un testo che parla di sciogliersi, oppure di un ruggito, e così via. LaMDA tende a seguire i suggerimenti e le domande guida, assecondando lo schema stabilito dall’utente. Il nostro team, che è composto sia da esperti di tecnologia che di etica, ha esaminato le preoccupazioni di Blake in base ai nostri Principi per l’intelligenza artificiale e gli ha comunicato che i risultati non supportano le sue affermazioni. Centinaia di ricercatori e ingegneri hanno conversato con LaMDA e non ci risulta che altre persone abbiano fatto affermazioni come quelle di Blake”.

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