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Google, spettro “spezzatino” per porre fine al monopolio



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Sui media statunitensi si rincorrono le voci secondo cui il dipartimento di Giustizia potrebbe imporre ad Alphabet la cessione del sistema operativo Android e del browser Chrome per ripristinare la concorrenza. Ma il gigante del Web annuncia ricorsi, e molti addetti ai lavori considerano “improbabile” questo scenario

Pubblicato il 20 ago 2024



giustizia – processo – giudice – tribunale – magistratura

Al centro dell’attenzione dei media statunitensi dopo la recente sentenza che ha rilevato una condizione di “monopolio illegale” per Google nel mercato della ricerca online ci sono le possibili conseguenze di questo pronunciamento per Alphabet. In sostanza, il giudice statunitense nel suo verdetto ha sottolineato che Google avrebbe violato le norme sulla concorrenza investendo miliardi di dollari con l’obiettivo di diventare il motore di ricerca predefinito a livello mondiale.

Tra le voci più insistenti, rilanciate ultimamente dal New York Times e da Bloomberg, c’è l’eventualità che il dipartimento di Giustizia possa imporre ad Alphabet, e quindi a Google, la cessione del sistema operativo Android, del browser Chrome o anche di AdWords, il software a cui è affidata la gestione delle inserzioni pubblicitarie sul motore di ricerca della società di Mountain View.

La posizione del dipartimento di Giustizia

Al lavoro sul caso ci sarebbe un team di legali esperti in concorrenza, come confermato anche da un portavoce del Dipartimento di Giustizia statunitense, che ha ammesso le valutazioni in corso sulla sentenza del tribunale e sui possibili passi successivi da compiere secondo gli strumenti messi a disposizione dalle norme che regolano la concorrenza negli Stati Uniti.

Tra le ipotesi in campo, secondo quanto trapela dal New York Times e da Bloomberg, ci sarebbero anche soluzioni meno drastiche rispetto allo “spezzatino” di un gigante da 2mila miliardi di dollari, come l’obbligo di condividere con i concorrenti i dati acquisiti per non godere di vantaggi “sleali”, ad esempio, nell’addestramento degli strumenti basati sull’intelligenza artificiale.

Le reazioni alla sentenza

Dal canto suo Google, che non ha rilasciato commenti ufficiali, starebbe lavorando al ricorso in appello, in attesa che il mese prossimo si celebri il processo per un’altra causa antitrust, questa volta intentata direttamente dal dipartimento di Giustizia.

Nel campo degli esperti e degli addetti ai lavori, nel frattempo, l’ipotesi di uno “spezzatino” viene vista con scetticismo. Come dichiara – citato dal britannico Guardian – Neil Chilson, ex capo tecnologo dell’Ftc, secondo cui si tratta di “un’ipotesi del tutto campata in aria. Nulla nell’approccio antitrust piuttosto standard del giudice Mehta suggerisce che lo scioglimento sia un rimedio plausibile – spiega – Una rottura non affronterebbe la condotta principale che il tribunale ha ritenuto problematica: i contratti di esclusiva per i posizionamenti predefiniti”.

Ancora il Guardian cita la posizione di Alden Abbott, ex consigliere generale della Ftc, che definisce “disastrosa” l’eventualità di uno “spezzatino”, considerandola in ogni caso improbabile: “La corte d’appello nella causa Stati Uniti contro Microsoft del 2001 ha respinto categoricamente lo smembramento di quell’azienda – sottolinea – anche se la sua condotta illegale di monopolio non è stata ritenuta dalla corte in grado di creare vantaggiose efficienze. Lo smembramento di Google probabilmente non verrà ordinato. È una fortuna. Lo smembramento di Google sarebbe uno degli atti economicamente più distruttivi negli annali dell’antitrust americano”.

Il dipartimento di Giustizia e le big tech

L’attività nei confronti di Google non è l’unica intrapresa dal dipartimento di Giustizia Usa nei confronti dei giganti tecnologici: negli ultimi 4 anni, infatti, le autorità sono state protegoniste di citazioni in giudizio che hanno coinvolto anche Meta Platforms, Amazon e Apple, tutte accusate di posizioni monopolistiche nei loro campi di attività.

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