Sulla Google tax l’Europa dovrebbe essere in grado di parlare a una voce sola. I colossi del web non fanno altro che sfruttare a proprio vantaggio il fatto che alcuni Paesi dell’Unione offrono condizioni fiscali più favorevoli. Una situazione difficile da gestire se non si riuscirà a dare a tutta l’Unione europea una voce unica, e se non si riuscirà a mettere le basi di un dialogo con tutti. Tanto più che seguire un percorso del genere tornerebbe utile come “metodo” non soltanto nel campo fiscale, ma anche in quello, ad esempio, della net neutrality, dove oggi gli stati membri parlano ognuno per conto proprio. E’ il senso dell’intervento di Antonello Giacomelli, sottosegretario al Mise con delega alle Comunicazioni, che ieri ha partecipato alla presentazione del libro “La libertà fragile. Pubblico e privato al tempo della rete”, di Salvatore Sica e Giorgio Giannone Codiglione.
Rispetto alla Google Tax, Giacomelli ha individuato il nodo nell'”incapacità di trasformare il livello della produzione del diritto rispetto ai processi che sono in corso, dove la strada è quella dell’interlocuzione e della costruzione del confronto”. Proprio la capacità di interlocuzione, e non dall’esistenza di una autorità di garanzia europea – ha continuato Giacomelli – è stata la chiave del successo del Garante Italiano per la Privacy nei confronti di Google, che a febbraio ha accettato di sottoporsi a verifiche periodiche sull’adeguamento della propria piattaforma alla normativa nazionale sulla privacy.
“Certo – ha concluso Giacomelli – sarebbe bello che ci fosse un’authority o una sorta di coordinamento europeo in grado di fare quel lavoro è stato fatto qui in Italia. Serve farlo nel dialogo con gli Stati Uniti, ad esempio sui temi della net neutrality, dialogando con la Fcc. Non possiamo immaginare ventotto risposte diverse”.