Google starebbe testando una versione mobile del suo motore di ricerca disegnata appositamente per la Cina: indiscrezioni del sito The Intercept, rilanciate dal Financial Times, parlano di una app Android per la search allineata con i severi controlli sui contenuti online imposti da Pechino, ma alle orecchie degli attivisti della libertà di espressione e di molti utenti di Internet il progetto di Google suona come un inchino alla censura cinese.
I media statali della Cina hanno prontamente smentito la notizia, ma The Intercept sostiene che Google abbia già presentato al governo di Pechino il suo motore di ricerca “censurato”. Nome in codice Dragonfly, il progetto è stato avviato nella primavera dell’anno scorso e ha cominciato a prendere forma concreta a fine 2017, dopo che il Ceo di Google Sundar Pichai si è incontrato con un funzionario di alto livello del governo cinese. Ora Google sarebbe pronta al lancio nei prossimi sei-nove mesi, dopo l’approvazione delle autorità.
La app sviluppata a Mountain View sarebbe in grado di riconoscere e bloccare l’accesso ai siti che offrono informazioni bandite dal Great Firewall cinese, come quelle relative ai diritti umani, alla democrazia e alla religione. Chi effettua una ricerca in questa versione del motore di Google non vedrà apparire i siti “proibiti” (tra i quali ci sono anche Wikipedia e molte testate giornalistiche occidentali, come la Bbc) tra le prime pagine dei risultati; leggerà inoltre un disclaimer che informa che alcuni risultati potrebbero essere stati rimossi come imposto dalla legge. La app di ricerca di Google per la Cina è anche in grado di respingere le ricerche “proibite”: chi inserisce le parole-chiave che fanno parte della blacklist delle domande che non si possono fare non avrà alcun esito dalla ricerca.
Se sarà confermato, il lancio della app per la ricerca “censurata” segna un deciso cambio di direzione per Google, che ha abbandonato il mercato cinese otto anni fa proprio in segno di protesta contro le restrizioni all’accesso online applicate dal governo. Dietro la decisione di allora c’era in particolare la volontà di Sergey Brin, co-fondatore di Google insieme a Larry Page, che, nato nell’Unione sovietica, è particolarmente sensibile alla difesa delle libertà civili. Nell’ultimo anno il colosso americano ha tuttavia condotto una serie di manovre di riavvicinamento alla Cina, che offre un bacino di utenti enorme con un potere di spesa in costante crescita e il cui presidente cinese Xi Jinping ha sì irrigidito le maglie dei controlli su Internet ma anche varato una politica industriale (Made in China 2025) che punta sull’alta tecnologia e sull’AI . Google non vuole farsi scavalcare dalla rivale cinese Baidu, che, quasi uno specchio cinese del colosso americano, ha sviluppato tecnologie e esperienza in molti dei settori in cui è forte Google, come search, AI e guida autonoma.
Di qui le mosse strategiche del top management di Mountain View per rientrare sul mercato cinese. L’anno scorso Google ha annunciato l’apertura in Cina di un centro di ricerca sull’intelligenza artificiale che metterà al lavoro talenti locali su prodotti e servizi basati sui più avanzati algoritmi di apprendimento per i software – nonostante al momento i prodotti e servizi del colosso americano sono vietati dal governo di Pechino. Google ha però cominciato a pubblicizzare i suoi prodotti di AI presso il governo nazionale e le amministrazioni locali e, sempre l’anno scorso, ha dato prova di quel che possono fare i suoi software intelligenti ospitando in Cina una gara di Go in cui un l’AI di Google ha battuto il campione mondiale del gioco tradizionale cinese, Ke Jie; l’evento è stato organizzato in collaborazione con le autorità di Pechino e ha ricevuto grande risalto sui media internazionali, ma su quelli cinesi è stato censurato.
Quest’anno Google si è fatta di nuovo avanti: a gennaio ha siglato un’alleanza col colosso hitech Tencent su licenze e brevetti, un accordo che potrebbe portare allo sviluppo congiunto di nuovi servizi e aprire la strada a un allentamento della censura di Pechino. A giugno ha investito 550 milioni di dollari nel gruppo cinese dell’e-commerce JD.com, secondo solo ad Alibaba nel paese. L’investimento supporterà anche l’espansione internazionale di JD.com e intanto attrae un nuovo importante partner nel servizio Shopping di Google con un doppio vantaggio per Big G che si rafforza contro Amazon e trizza l’occhio a Pechino sostenendo un gruppo nazionale.