Il valore dei contratti pubblici aggiudicati alle startup innovative italiane raggiunge i 4,6 mld di euro nel 2022, in larga parte tramite Raggruppamenti Temporanei d’impresa. In particolare circa il 9% delle startup italiane presenti nel Registro delle imprese innovative ha lavorato almeno una volta con una stazione appaltante pubblica durante lo scorso anno. Le stazioni appaltanti interessate sono state 1.963. Emerge dallo studio condotto da Feel in collaborazione con InnovUp, secondo cui l’Italia “è pronta a utilizzare pienamente i benefici di un ecosistema GovTech (che prevede cioè l’adozione di tecnologie innovative da parte della Pubblica Amministrazione) a patto di abbattere le barriere alla collaborazione tra sistema pubblico e startup a partire dal gap di competenze in materia di innovazione tecnologica”.
Il ruolo del GovTech
Il GovTech è già oggi un settore chiave a livello globale, con un valore di 116 miliardi di euro nella sola Europa e l’obiettivo di liberare risorse e stimolare lo sviluppo economico e sociale grazie a servizi pubblici più efficienti, garantendo maggiore trasparenza e partecipazione da parte dei cittadini.
A livello globale, l’Italia è tra i Paesi di testa del GovTech Maturity Index 2022 sviluppato dalla World Bank che misura la maturità dei Paesi nel percorso della transizione digitale della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, osservando il Desi che misura la “competitività digitale” complessiva dei Paesi europei, l’Italia risulta solo al 18esimo posto sui 27 Stati dell’Ue, ma è anche lo Stato che ha migliorato maggiormente il proprio ranking rispetto all’edizione 2017, grazie ad importanti investimenti e politiche per la digitalizzazione.
“Rendere più attrattivo ed accessibile il sistema pubblico dal punto di vista delle startup è una linea di policy che può portare benefici ai cittadini – spiega Marcello Coppa, co-founder di Feel –. Un sistema pubblico efficiente ed efficace negli acquisti innovativi è un asset per il Paese che può favorire lo sviluppo di piattaforme che ambiscono a diventare campioni a livello internazionale. E le piattaforme sono soft power e leve di geopolitica”.
L’identikit delle startup coinvolte
Le startup intervistate nell’ambito della ricerca sono per lo più piccole e giovani imprese a bassa capitalizzazione: il 45% ha meno di 3 anni, la metà fattura meno di 250mila euro; poche hanno già raccolto capitali da fonti terze in uno stage di pre seed/seed. Per oltre la metà delle startup, il sistema pubblico è uno dei possibili mercati di riferimento, ma non l’unico e non il principale.
Le tecnologie di riferimento sono molto varie con una leggera maggiore concentrazione nel settore del healthtech e dell’edu tech, le gare più partecipate sono spesso connesse a progetti o programmi finanziati dal Pnrr.
La dimensione tipica dei contratti rimane molto esigua, con una prevalenza di affidamenti diretti sottosoglia, per un valore medio di 13.245 euro e una mediana di 2.459 euro.
Per oltre il 60% dei rispondenti, il sistema pubblico è un target interessante, soprattutto per l’affidabilità nei pagamenti (“molto rilevante” per il 43% delle startup) e per la rilevanza dei budget (“molto rilevante” nel 34% dei casi). Tra i punti più critici, invece, le tempistiche dei pagamenti (30%) e il basso livello di competenza tecnica della PA nella valutazione delle proposte (39%), che rende difficile per una startup far comprendere il valore della propria soluzione innovativa.
Il nodo delle procedure amministrative
La complessità delle procedure amministrative (43%) e i requisiti di capacità economica (36%) costituiscono una barriera ulteriore alla collaborazione tra questi due mondi.
Si tratta di fattori essenziali per le startup, poiché in primis il buon esito dell’applicazione della soluzione richiede competenze tecniche specifiche o degli interventi organizzativi, e in secondo luogo i tempi di pagamento impattano sul cash flow, uno dei parametri più rilevanti per le startup soprattutto in ottica di confronto con investitori o istituti di credito.
“Gli enti pubblici necessitano di condividere e accedere a pratiche di innovazione già sperimentate in ambito pubblico per diminuire le soglie di rischio e di incertezza percepite ed accelerare l’adozione di soluzioni tecnologiche provenienti anche dalle startup” aggiunge Andrea Landini, co-founder di Feel.
La collaborazione con la PA
La modalità di collaborazione più diffusa tra Pubblica Amministrazione e startup del campione è l’assegnazione di progetti sotto la soglia dei 40.000 euro (20% dei casi), cioè importi piuttosto modesti anche a dimostrazione di una scelta verso una soluzione e di una procedura meno competitiva, seguita da un 12% di imprese innovative che passa attraverso una procedura negoziata senza pubblicazione di bando.
Marginali gli affidamenti oltre i 40mila euro o le convenzioni nazionali o regionali. Il partenariato per l’innovazione (dove la Pubblica Assistenza può rivolgersi a startup innovative di fronte all’esigenza di sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi non attualmente disponibili sul mercato con l’impegno ad acquistarli successivamente) è stato usato da meno del 10% delle startup coinvolte nello studio.
Servono più competenze dentro la PA
“L’emergere di queste strategie denota che i tempi e modi dell’innovazione difficilmente si impongono o si limitano per legge, e che la barriera principale all’innovazione è quella sostanziale (la valutazione, la qualità, l’impatto, la gestione, le competenze, gli economics diretti ed indiretti) – commenta Giorgio Ciron, Direttore di InnovUp –. Come Associazione abbiamo da sempre promosso l’Open Innovation quale leva per la competitività delle nostre imprese “tradizionali” e il contestuale sviluppo della filiera dell’innovazione, allo stesso modo riteniamo che anche la Pubblica Amministrazione debba aprirsi alle soluzioni innovative dotandosi di quelle competenze e capacità necessarie a costruire un ponte tra startup e sistema pubblico”.
Circa il 20% delle startup (soprattutto quelle più mature) ha vinto delle gare, o ha ricevuto un affidamento partecipando a Raggruppamenti Temporanei di Impresa o Associazione Temporanee di Impresa (soprattutto quelle più giovani). Solo l’8% lavora per il sistema pubblico in via indiretta, come fornitore di una grande azienda già accreditata ed attiva su progettualità più ampie.
I 4 “archetipi” del rapporto GovTech-startup
All’interno dell’analisi svolta, sono stati individuati quattro archetipi per rappresentare il grado di maturità e innovazione della Pubblica amministrazione in relazione al GovTech e alla collaborazione con le startup: i free rider, in posizione più defilata e che beneficiano solo indirettamente dell’innovazione generata dal GovTech, gli esploratori cauti, che considerano le startup una nicchia con cui sperimentare soluzioni di frontiera comunque secondarie rispetto alla propria strategia di innovazione, i burocrati creativi, fortemente motivati nel collaborare con le startup ed innovare ma limitati da risorse o altre barriere contingenti, ed infine i leader, che mettono le startup al centro della loro strategia di innovazione con risorse e mandato di agire adeguati.
“Riteniamo che i tempi siano maturi per portare in modo esplicito, anche in Italia, una riflessione consapevole sul ruolo del GovTech – dice Simone De Battisti, co-founder di Feel -, valorizzare quanto è già stato fatto e facilitare i prossimi passi lungo l’incrocio tra policy design e tecnologie innovative offerte dalle startup e quindi tra gli attori economici, sociali, culturali, tecnici e professionali”.