La Cina mette al bando sul proprio mercato interno, in via temporanea, 26 prodotti di Micron, multinazionale statunitense della microelettronica, tra i maggiori produttori di chip e memorie al mondo. Alla base di questa decisione, presa dal tribunale di Fuzhou, nel Sud Est del Paese, c’è una “guerra dei brevetti” con alcuni produttori locali, che si sono rivolti alla giustizia lamentando irregolarità sull’utilizzo di alcune tecnologie alla base di schede Ssd e Chip.
A confermare la notizia è stata nelle scorse ore anche Fuijan Jinhua integrated circuit Co., che è tra gli “accusatori” di Micron nel processo, insieme a United microelectronics corporation, partner commerciale di Jinhua, secondo cui l’ingiunzione temporanea della corte di giustizia riguarderebbe in tutto 26 prodotti di Micron.
Micron rappresenta nel panorama mondiale il quarto produttore di chip in termini di fatturato, dopo Samsung, Sk Hynix e Intel, e nel 2017 ha generato proprio in Cina circa il 25% dei propri ricavi.
Nelle scorse ore è arrivata la reazione di Micron, che ha voluto ridimensionare l’impatto sul proprio business di questa decisione, affermando che potrebbe incidere sui propri conti provocando un calo dell’1% sul fatturato del trimestre. La decisione ha inoltre creato qualche turbolenza sui mercati, dal momento che si tratta di un’altra goccia nel vaso delle dispute commerciali sui brevetti in atto tra società Usa e aziende cinesi, in un contesto “arroventato” dalla cosiddetta guerra dei dazi che il presidente Usa Donald Trump sta conducendo nei confronti dei produttori stranieri.
Nella sua presa di posizione Micron ha annunciato di voler rispettare le regole, ma ha anche prefigurato la possibilità di un ricorso per chiedere alla corte di rivedere la sua decisione, dal momento, spiega il direttore affari legali e societari di Micron, Joel Poppel, che “la corte di Fuzhou ha preso questa decisione preliminare prima di dare a Micron l’opportunità di illustrare la propria posizione e difendersi”.
La controversia che sta riguardando Micron in Cina può essere considerata come la “seconda puntata” di un contenzioso legale iniziato a dicembre, quando gli americani avevano denunciato le Fuijan e Umc a un tribunale della California proprio sull’utilizzo di tecnologie di cui sostenevano di detenere la proprietà intellettuale.