La fase due dell’integrazione hardware-software potrebbe essere guidata da Samsung: nelle scorse settimane è circolata la voce, sempre più insistente, che l’azienda intende dare più forza ai suoi software.
Un sistema operativo di proprietà chiuderebbe il cerchio dell’integrazione verticale nei prodotti dell’azienda, che è unica al mondo. Samsung infatti è tra i primi produttori del pianeta di componenti: nelle sue fabbriche realizza i pannelli Oled, le memorie, la Ram, i processori e varie altre componenti dei suoi telefoni e tablet Galaxy e di altri produttori come Apple con gli iPhone.
Se Samsung decide di seguire una strada autarchica per il sistema operativo, l’obiettivo è di aumentare il valore, che adesso finisce nel marketplace di Google con Android. Ma in realtà le cose in Asia si stanno muovendo in maniera ancora più complessa: all’ombra dei giganti coreani e taiwanesi si stanno sollevando le grandi aziende cinesi. Huawei e Lenovo sono due dei marchi che hanno ambizioni globali e l’integrazione di hardware e software si accompagna alla nascente strategia dei servizi. Il 2013 è il decimo anno che vede Huawei sul mercato degli apparecchi consumer e Amy Lou, director del Global brand management, ha dichiarato che “costruire un brand globale richiede tempo, investimenti e coerenza di sforzi”.
L’azienda cinese è una di quelle che sta lentamente entrando in una serie di mercati proponendo hardware, software e servizi autoctoni.
A spingere verso questa direzione le aziende che sino a pochi anni fa erano sostanzialmente terzisti degli assemblatori taiwanesi e poi direttamente delle grandi multinazionali occidentali e giapponesi, sono due fattori: l’ampiezza del mercato nazionale, che giustifica e ripaga anche investimenti consistenti in tecnologia, e la particolarità della lingua cinese che richiede soluzioni dedicate che non tutti i produttori possono affrontare.
In più, lo sviluppo di tecnologie “fuori serie” anche se più costoso in realtà permette di risparmiare sulle royalty che sono in generale di proprietà di aziende nordamericane ed europee, soprattutto nel settore delle Tlc. Accanto a Huawei e Lenovo, altra azienda abituata alle integrazioni verticali e a diventare numero uno o due nei mercati nazionali in cui entra, c’è una lunga fila di marchi per adesso sconosciuti in Occidente. Un nome su tutti è Tcl, multinazionale cinese nata nel 1981 con sede a Huizhou, nel Guangdong, ha più di 70mila dipendenti, fatturato da dieci miliardi di dollari, joint venture nel settore degli schermi, multimedia e telefonia cellulare con Thomson, Alcatel-Lucent, Samsung e da gennaio di quest’anno il Grauman’s Chinese Theatre sulla “Walk of Fame” nel cuore di Hollywood dopo una donazione di 5 milioni di dollari si chiama “Tcl Chinese Theater”.
Il cambio di passo non ha solo un valore commerciale ma anche simbolico: Tcl (come altri brand cinesi da tenere d’occhio come Hisense, Haier e Zte) vuole conquistare il cuore dei consumatori occidentali, sostituendo i tradizionali marchi giapponesi, nordeuropei e americani. Per farlo, l’integrazione verticale – che sconfina nell’autarchia totale, con produzione e assemblaggio di tutte le componenti nonché realizzazione del software – è solo l’inizio. Tcl, ad esempio, in questo momento è il quarto produttore di pannelli Lcd dopo Samsung, Lg e Sony, e la televisione intelligente di Ikea, la Uppsala, è prodotta integralmente da loro in Cina. Se l’obiettivo dei cinesi è di scalzare i coreani dal trono della tecnologia (dopo che questi avevano scalzato a loro volta i giapponesi alla fine degli anni novanta), i taiwanesi cercano di resistere in tutti i sensi. L’isola che ufficialmente ancora si chiama “Repubblica di Cina” sta a sua volta cercando di aiutare a cambiare il passo i suoi principali attori: il colosso Chimei, ma anche Asus, Acer, BenQ, e Htc cercano di reggere il passo con le aziende cinesi e l’integrazione verticale appare in questo caso una risorsa da sfruttare, anche se può avvenire sul territorio nazionale tramite società controllate o fornitori privilegiati.
In Giappone, infine, che ha in qualche modo inventato il modello industriale delle Zaibatsu, i grandi “conglomerati” asiatici (oggi si chiamano “Keiretsu”, in Corea “Chaebol”), la pressione della concorrenza sta sfilacciando il mercato e le integrazioni verticali stanno perdendo colpi. A guidare il mercato comunque c’è Sony, che gioca un ruolo particolare e che anche con la nuova Playstation 4 e i suoi televisori ha cercato di costruire un ecosistema di hardware, software e servizi paragonabile a quello di Apple. Sinora, però, con risultati meno soddisfacenti.