Sul portale del progetto, sostenibile attraverso una campagna di crowdfunding, si specifica che “Horus al momento è un prototipo e nel 2015 inizieremo delle fasi di test con i potenziali utenti”. Horus è un dispositivo che consente ai non vedenti e ipovedenti di avere un assistente personale elettronico che li supporti nella quotidianità. Frutto del lavoro di un giovane team multidisciplinare di ricercatori composto (collaboratori esclusi) da Saverio Murgia, Luca Nardelli e Benedetta Magri, “nasce dall’esperienza mia e di Luca nell’ambito della visione artificiale applicata ai sistemi robotici, congiuntamente alla volontà di utilizzare queste tecnologie per migliorare la qualità della vita di persone che non possono usare un senso importante come la vista”, spiega Murgia. Quindi chiarisce il suo intento: “Il maggior problema che vogliamo risolvere è la limitata indipendenza che spesso persone cieche e ipovedenti devono affrontare, e per raggiungere questo obiettivo vogliamo realizzare un dispositivo che non necessariamente sostituisce gli strumenti già in uso, ma si posiziona al di sopra offrendo assistenza su più fronti e risolvendo diverse criticità”. Forte di un’idea che è già stata premiata al Contest idea challenge organizzato in Olanda da Eit Ict Labs, un’iniziativa dell’istituto europeo dell’innovazione e della tecnologia appoggiata direttamente dall’Ue, Murgia descrive il funzionamento di Horus.
“Questo dispositivo viene indossato agganciando una parte agli occhiali, dove si trovano i sensori e il meccanismo di conduzione ossea per comunicare con l’utente, e ponendo in tasca l’unità di elaborazione e batteria. Durante l’utilizzo è possibile navigare un menu utilizzando dei pulsanti oppure utilizzando i comandi vocali. Horus, al pari di un assistente personale, può rispondere a questi comandi vocali guidando l’utente nel suo utilizzo”. Qualche esempio pratico? “Un esempio sono le indicazioni per il posizionamento di un libro durante la sua lettura. Oppure l’aiuto nel trovare attraversamenti pedonali, riconoscere volti e descrivere quelli di persone nuove, individuare oggetti. In qualsivoglia situazione il funzionamento è come sarebbe se si stesse parlando con una persona che assiste”, risponde Murgia.
Un progetto, quello che questi giovani universitari genovesi stanno portando avanti, non circoscritto però al territorio nazionale. “Sicuramente ci espanderemo all’estero, dove già abbiamo riscontrato molto interesse. Abbiamo deciso di iniziare dall’Italia poiché qui abbiamo un network più esteso e per noi si è rivelato più facile iniziare questa affascinante impresa”, conclude Murgia.