STRATEGIE

Hp, iniezione hi-tech per tornare al successo

Per raggiungere la piena “forma” c’è ancora strada, ma Meg Whitman va avanti senza indugi e punta a riportare l’azienda sulla cresta dell’onda

Pubblicato il 21 Lug 2014

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Il picco negativo del titolo di HP è arrivato il 30 novembre 2012, quando il prezzo è sceso a 12,99 dollari per azione. Pochi giorni dopo il dividendo annuale: 13 centesimi di dollaro per azione. Era passato un anno dall’inizio dell’era Meg Whitman, l’ex Ceo di eBay che è entrata nel consiglio di amministrazione di HP a gennaio 2011 e poi, a settembre, dopo la “cacciata” di Léo Apotheker, è diventata l’amministratore delegato dell’azienda. Con un obiettivo ambizioso: il turaround, la ripartenza dell’azienda sulla base di un piano strategico in cinque anni e con la prontezza di mettere subito toppe ai danni fatti dall’ex numero uno europeo che era succeduto a Mark Hurd, a sua volta uscito a seguito di un’accusa di molestie sessuali.

In realtà, molto dell’impostazione di HP che Apotheker e poi Whitman hanno ereditato si deve proprio a Hurd, manager dallo stile aggressivo e diretto, che è stato in carica nel periodo più difficile per HP: dal 2005 al 2010, cioè a cavallo della grande gelata che ha spazzato via 15mila miliardi di dollari dalla Corporate America.

Hurd aveva tagliato duramente, secondo alcuni analisti anche troppo: aveva consolidato gli 85 datacenter dell’azienda in solo sei, ridotto lo stipendio del 5% a tutti i dipendenti (lui stesso si era tolto il 20%), ridimensionato le spese di tecnologia licenziando 11mila dei 19mila esperti IT di HP e riducendo i software utilizzati in azienda da 6mila a 1.500. Ma aveva anche comprato molto per rendere più forte l’offerta enterprise dell’azienda, con una strategia non dissimile da quella della Oracle di Larry Ellison nel mondo software (dove attualmente Hurd lavora).

Dopo di lui Apotheker, ex uomo Sap con visione principalmente del mercato B2B, aveva invece orientato l’azienda verso il cloud (intuizione corretta per i servizi alle imprese), tagliando però la ricerca e sviluppo tradizionale di un’azienda che ha una lunga storia di innovazioni hardware, e prospettando la vendita della divisione pc proprio come Ibm aveva fatto con i cinesi di Lenovo pochi anni prima. Shock in Borsa e immediata sostituzione del ceo dopo soli 10 mesi e la perdita del 40% del valore del titolo.

Withman, reduce da una sfortunata corsa al seggio di Governatore della California, ha avuto il compito di riprendere da dove Apotheker e Hurd avevano lasciato: potenziando il centro di ricerca, procedendo con nuove acquisizioni nel settore cloud, big data e business intelligence paragonabili a quella storica voluta da Carly Fiorina (che nel 2002 ha portato all’assimilazione di Compaq per 25 miliardi di dollari con una strategia però non più in linea con i tempi quanto ad obiettivi) e fornendo una nuova direzione complessiva.

Le aree della ripartenza di Whitman passano dal centro di ricerca e sviluppo, adesso guidato dal cto di HP, Martin Fink, e da un difficile esercizio di equilibrio nelle nuove proposte hardware e software. Nell’attuale fase di mercato i grandi produttori di tecnologia stanno velocemente abbandonando i recinti tradizionali andando ad occupare nuove aree di valore: VMware si occupa di networking, Cisco di virtualizzazione, Microsoft di servizi cloud, Oracle di server e Apple ha creato i presupposti del Byod. HP partecipa a questa “festa” cercando di rafforzare una piattaforma che in realtà è multidimensionale e sotto assedio.

Se è vero che Whitman è riuscita ad abbassare i costi (a prezzo di 34mila futuri licenziamenti, l’11% del totale dei dipendenti), a ridurre il debito (passato da 23 a 18 miliardi di dollari) e a generare nuovi flussi di cassa, è anche vero che i due grandi business di HP – stampa e personal computer – nel medio periodo declineranno. La debolezza di HP, secondo l’analista di Barrons Jack Hough, è strutturale: l’era di internet sta passando da una fase “distribuita” a una più centralizzata dove il bisogno di potenza per l’elaborazione avviene nella nuvola e i terminali personali sono sempre più economici: tablet, smartphone, ultrabook. In prospettiva, la Internet of Things rivoluzionerà tutta questa parte. HP non ha ancora prodotti competitivi con quelli di Apple, Microsoft stessa e degli asiatici, Samsung in testa.

Sul versante aziendale HP si trova in una situazione non dissimile da quella di Ibm, ma senza la leva della consulenza: deve spingere sui nuovi servizi di virtualizzazione, cloud e business intelligence, ma al tempo stesso deve cercare di vendere server e hardware tradizionale per le aziende, che è dove ci sono i margini più alti.

L’azienda che nel 1980 ha commercializzato la prima stampante laser da ufficio, nel 1894 quella a getto di inchiostro, i processori Risc nel 1986 e le architetture a 64 bit nel 1994, oggi gioca il futuro sull’innovazione con un nuovo supercomputer scalabile pronto in due anni chiamato The Machine: dalla tasca al datacenter, 77% meno costoso, 89% meno energia per alimentarlo, 97% meno complesso. La ricetta del futuro per la Whitman passa attraverso nuovi hardware (il supercomputer Apollo raffreddato ad aria e acqua che va in competizione con Watson di Ibm) e soluzioni software come gli Sdn, la sicurezza e la Business Intelligence di Autonomy. Whitman sta curando il paziente e i risultati di vedono. Ma la piena forma è traguardo ancora da raggiungere.

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