Huawei sfrutta l’allargamento delle sanzioni commerciali degli Stati Uniti per tornare a cavalcare l’innovazione Made in China. È il Wall Street Journal a rivelarlo: secondo il quotidiano, la società di Shenzhen sarebbe in procinto di testare un processore AI, attualmente nella fase iniziale di sviluppo, che ha l’ambizione di sostituire i chip Nvidia banditi dalla Cina.
Il chip Ascend 910D, descritto come il più potente mai sviluppato dall’azienda, non è solo una risposta strategica alle restrizioni commerciali imposte dagli Stati Uniti, ma anche un passo decisivo verso il raggiungimento della sovranità tecnologica del Paese.
Stando alle fonti del Wall Street Journal, Huawei avrebbe dunque già avviato collaborazioni con diverse aziende locali per testare la compatibilità dell’hardware, che dovrebbe fare il suo debutto entro la fine di maggio. In particolare, la società cinese sta allineando i clienti per verificare la fattibilità tecnica dell’Ascend 910D, che sulla carta sarebbe più potente del processore Nvidia H100, ufficialmente indisponibile in Cina dalla fine 2023. Il nuovo lancio dovrebbe seguire a ruota la distribuzione su larga scala della generazione precedente, l’Ascend 910C.
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La strategia di risposta ai dazi americani
Lo sviluppo del nuovo chipset è coerente con la strategia nazionale, determinata dal “divario sempre più profondo tra l’Occidente e la Cina” e soprattutto dalla necessità di allentare la dipendenza del mercato dalla tecnologia occidentale.
Il fondatore del blog Radio Free Mobile Richard Windsor ha suggerito che tuttavia, nel breve termine, Huawei rimarrà con ogni probabilità ferma ai semiconduttori da 7nm. Che poi è il limite di quello che può attualmente produrre il partner Semiconductor Manufacturing International Corp, colosso manifatturiero di proprietà statale che prima dell’arrivo dei dazi riforniva anche realtà come Qualcomm, Broadcom e Texas Instruments.
Si tratta comunque di un netto passo in avanti. Già nell’agosto del 2023, Huawei aveva sbalordito l’intero settore a livello mondiale svelando lo smartphone Mate 60 Pro alimentato dal suo chipset Kirin 9000s. L’utilizzo di un processore di produzione propria, progettato dall’unità chip HiSilicon della società e prodotto da Smic utilizzando un processo a 7 nm, era stato salutato in Cina come una grande vittoria sui controlli delle esportazioni statunitensi.
Proprio da allora, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha aggiunto una serie di nuove restrizioni sulla vendita di chip AI in Cina.
Il punto è che le restrizioni statunitensi non hanno solo generato la reazione cinese: la strategia dei dazi sta avendo un impatto significativo anche sulle aziende americane. La già citata Nvidia, per esempio, pur rimanendo leader di mercato nell’ambito delle soluzioni per l’intelligenza artificiale, ha registrato una svalutazione di circa 5,5 miliardi di dollari.
La competizione diretta con Huawei, in questo senso, costituisce una metafora della rilevanza strategica dell’AI come motore di innovazione e crescita economica. È dunque lecito pensare che si tratti solo dell’inizio, e che le ripercussioni della guerra commerciale si estenderanno ben oltre il settore dei semiconduttori, influenzando l’economia globale e il progresso digitale nei prossimi anni.
L’accelerazione di Huawei
Gli analisti più attenti, del resto, hanno notato che Huawei sembra aver accelerato il lancio di nuove versioni del chip Ascend. Se l’iterazione C – che secondo gli esperti era essenzialmente la somma di due unità B confezionate insieme – suggeriva il fatto che l’azienda aveva ancora parecchia strada da recuperare, il 910D promette di strabiliare il mercato, per l’appunto superando anche le capacità dei prodotti Nvidia. Al momento però si può solo prestare fede alle informazioni rivelate dal Wsj, i cui corrispondenti riferiscono di aver parlato con fonti locali. Il che, in altre parole, significa che quanto fatto trapelare ha l’approvazione sia di Huawei che dello Stato cinese, i quali hanno naturalmente tutto l’interesse a proiettare una luce positiva sullo sviluppo tecnologico di Pechino.
Una cosa è certa: la competenza cinese nella produzione di chip pare molto meno influenzata dalle sanzioni di quanto sperato da Washington. Resta il tema della capacità produttiva: come detto le attuali forniture di Smic determinano la realizzazione chip di intelligenza artificiale più lenti e costosi di quelli, per esempio, che escono dalle fonderie di Tsmc. “Sebbene questo non danneggi le prospettive dell’AI in Cina, sarà il resto del mondo a determinare se i tentativi degli Stati Uniti di isolare la Cina avranno successo. In questo caso, vedo uno svantaggio sostanziale per l’AI cinese nel tentativo di conquistare cuori e menti al di fuori della Cina, poiché sarà più costosa e comporterà le solite condizioni”, sottolinea Richard Windsor.