Dalla Cina al Canada, per sfuggire alla “censura” e continua a minare, minare, minare. I “minatori” del bitcoin non si arrendono e per garantirsi un futuro emigrano verso lidi migliori. Ha infatti deciso di fare le valigie Bitmain, “organizzazione” a cui fanno capo i principali “collettivi” del bitcoin in Cina.
Dopo aver spostato gli headquarter regionali a Singapore ha ora ampliato l’orizzonte guardando agli Usa e soprattutto al Canada. E anche la concorrente Btc.Top, a cui fa capo il terzo “collettivo” in classifica si appresta a battezzare una sede nel Paese nord-americano mentre ViaBtc già vanta attività in Islanda e America. Per scoraggiare la produzione del Bitcoin la Cina ha deciso di passare alle maniere forti e addirittura ha in programma di limitare il potere energetico delle industrie, quelle dove sono localizzate elevate quantità di server e computer “potenti” in grado di produrre la moneta sfruttando l’energia nelle ore notturne. Misure restrittive sono state annunciate anche da Corea del Sud e Israele.
Se la Cina sembrava essere la meta ideale per i minatori visti i contenuti costi dell’energia e della forza lavoro il Canada non è da meno. E si guarda con interesse a Iran e Russia. Anche il mondo finanziario è sempre più diffidente nei confronti di Bitcoin e delle monete virtuali. Merrill Lynch, controllata da Bank of America, ha vietato ai propri clienti e ai propri consulenti finanziari di trading di comprare valuta digitale, evidenziando preoccupazioni sulla sostenibilità e gli standard del prodotto.