Venticinquesimi sui 28 paesi Ue, più indietro del 2014. Il recente rapporto Ue Desi 2016 (misura la digitalizzazione dell’economia e della società) suona come una stroncatura, l’ennesima, dell’Italia in tema di innovazione tecnologia e di uso di Internet.
Siamo sempre indietro, inutile nascondercelo. Eppure, c’è qualcosa di nuovo che può farci guardare al Desi 2016 con occhiali un po’ meno scuri del passato: dopo anni di regressi, ci muoviamo in avanti. Lo segnala la stessa Ue: “l’Italia fa parte del gruppo di Paesi che stanno recuperando il ritardo. Nell’ultimo anno ha registrato rapidi progressi e si è avvicinata alla media dell’UE”
Tuttavia, “le prestazioni dell’Italia sono ancora inferiori alla media del gruppo di Paesi in fase di recupero”. Questo spiega perché non siano bastati a migliorare la nostra classifica l’accelerazione nella posa di banda larga e il maggior uso dei servizi digitali da parte di pubblica amministrazione, aziende, privati cittadini.
Può avere senso vedere il bicchiere mezzo pieno, ma non è il caso di accontentarci. Anzi, se non vogliamo che i ritardi aumentino dobbiamo continuare a correre più degli altri.
Tra i fattori di ritardo, l’Ue individua la scarsa diffusione della banda larga. Ma la fotografia 2015 è vecchia. Il 2016 parte con premesse nuove. La decisione del governo di costruire direttamente la rete ultrabroadband nelle aree a fallimento di mercato e l’annunciata accelerazione degli operatori privati nel dispiegamento delle nuove infrastrutture fisse e mobili rappresentano un combinato disposto che, se non ci saranno intoppi, consentirà di arrivare al 2020 con livelli europei di copertura. Le nuove regole sugli scavi e la regolazione Agcom daranno il loro contributo in tale direzione.
Il limite più rilevante, evidenziato anche dall’Ue, è piuttosto nello scarso uso di Internet e dei servizi online. Un problema che riguarda la PA, ma anche le imprese (ma l’e-commerce è in aumento) e i cittadini che usano molto poco Internet. Anche la cultura di Internet è troppo scarsa e troppo poco diffusa.
Le infrastrutture sono rimaste troppo a lungo al centro del dibattito in Italia. È tempo di spostare l’attenzione su servizi e cultura. Richiederà tempi più lunghi della posa delle reti. Per questo non c’è più tempo da perdere.