I consumatori sono disposti a condividere i propri dati personali con i rivenditori, soprattutto se ricevono qualcosa in cambio. Lo indica un nuovo studio di Ibm condotto su oltre 30mila consumatori a livello mondiale e pubblicato oggi in occasione dell’edizione 2014 della National Retail Federation.
La percentuale di consumatori disposti a condividere la loro posizione con i rivenditori via Gps, sostiene la ricerca, è quasi raddoppiata anno su anno, toccando il 36%. Inoltre il 32% dei consumatori condividerebbe i propri dati “social” con i rivenditori e il 22% fornirebbe il proprio numero di cellulare allo scopo di ricevere sms.
“Il consumatore è abituato ormai in molti settori, dall’assistenza sanitaria ai viaggi, a ricevere interazioni personalizzate attraverso diversi canali” spiega Jill Puleri, Ibm Retail Global Industry Leader. “Lo studio Ibm dimostra che i consumatori sono disposti a condividere i dati che li riguardano, in particolare se ricevono in cambio un’esperienza personalizzata. È indispensabile che i rivenditori mettano in atto una strategia Big Data e l’analytics in grado di assicurare un saggio utilizzo delle informazioni dei consumatori, che consenta di conquistane la fiducia ed in cambio permetta di fornire loro dei vantaggi”.
Anche se le vendite omnicanale, ovvero la prassi di fornire ai consumatori un’esperienza connessa e personalizzata attraverso i canali online, il mobile commerce e il negozio tradizionale, sono l’obiettivo dichiarato di quasi ogni rivenditore, i consumatori non le richiedono in sé e per sé. Si aspettano semplicemente la possibilità di utilizzare la tecnologia in tutti gli aspetti della loro vita, incluso il modo di fare shopping.
Lo studio di Ibm ha riscontrato che le cinque funzionalità omnicanale più importanti per i consumatori sono: coerenza dei prezzi tra i vari canali di shopping; possibilità di ricevere direttamente a casa propria articoli che risultano esauriti in negozio; possibilità di monitorare lo stato di un ordine; assortimento di prodotti coerente tra i vari canali; possibilità di restituire gli acquisti online in negozio.
Lo studio Ibm ha rilevato che i consumatori rientrano in quattro gruppi diversi, che si distinguono per il loro interesse e utilizzo delle tecnologie social, di localizzazione e mobile durante lo shopping. Il 19% dei consumatori intervistati resta indietro rispetto alla maggioranza della popolazione quando si tratta di utilizzare la tecnologia per fare acquisti. Un altro 40% di acquirenti si serve delle tecnologie social, di localizzazione e mobile per raccogliere le informazioni, ma tende a non utilizzarle per l’acquisto dei prodotti. Il 29% utilizza le tecnologie social, di localizzazione e mobile molto più diffusamente, dalla ricerca dei prodotti all’ordinazione delle merci. Il 12% dei consumatori intervistati rientra nella categoria degli “apripista”, ossia coloro che usano queste tecnologie tra vari canali e scelgono il rivenditore che offre questa possibilità.
Gli apripista, sebbene oggi siano ancora un piccolo gruppo, sono particolarmente interessanti perché stanno tracciando il sentiero che la maggior parte dei consumatori percorrerà domani. Lo studio di Ibm prevede che la maggior parte dei consumatori che attualmente utilizzano la tecnologia per fare ricerche e acquisti ne incrementerà l’uso. Gli apripista rappresentano inoltre un gruppo demografico appetibile. Hanno livelli di reddito più elevati, sono più ottimisti riguardo al futuro, prevedono di spendere di più nel 2014 e sono molto attivi sui social media. Ibm raccomanda ai rivenditori di rivolgersi agli “apripista” per restare competitivi.
Dallo studio emerge poi che i consumatori fanno sempre più acquisti online. Nel 2013 l’84% degli acquirenti intervistati da Ibm aveva scelto il negozio per il suo più recente acquisto, se si esclude la comune spesa alimentare. Quest’anno, la cifra è scesa al 72%. Sorprendentemente, lo “showrooming”, ossia la prassi di vedere e provare gli articoli in negozio ma di acquistarli poi via web, non è alla base di questa crescita delle vendite online. Anche se un maggior numero di intervistati ha fatto “showrooming” quest’anno (l’8% rispetto al 6% dello scorso anno), solo il 30% di tutti gli acquisti online è stato effettivamente frutto di tale pratica – con un calo di quasi il 50% rispetto allo scorso anno. Il 70% degli acquisti online è stato effettuato da persone che si sono rivolte direttamente al web.
La vendita omnicanale non è solo una sfida in termini di volume di dati – i Big data – ma è in realtà una sfida in termini di ampiezza di dati. Richiede infatti ai rivenditori di combinare tutti i dati delle interazioni con i clienti – sia quelle avvenute in negozio, online o tramite un dispositivo mobile – con i dati esterni provenienti da social media, video e sensori. Il problema per molti rivenditori non è solo combinare tra loro tutte queste informazioni per creare una vista consolidata di un cliente, ma anche di rispondere a tali informazioni in modo tempestivo. I consumatori si aspettano che i rivenditori “apprendano” dalla loro interazione, affinché raccomandazioni e offerte siano personalizzate. Per supportare la propria strategia omnicanale, i rivenditori dovrebbero considerare il cloud computing, che può fornire loro il modo più rapido ed efficiente di riunire grandi insiemi di dati in un’unica piattaforma sicura.