Cosa hanno a che fare le politiche per l’innovazione con quelle di genere? Dipende da ciò che intendiamo per innovazione: nel corso degli anni, dopo l’incontrastato primato del mito dell’innovazione e dopo i danni riportati da infrastrutturazioni tecnologiche distanti anni luce dalle esigenze reali dei cittadini, ha iniziato a farsi strada un cambiamento.
Si è iniziato a parlare di open innovation, di una visione più reticolare e meno gerarchica della condivisione di conoscenza. Sempre più si tenta di integrare innovazione sociale e tecnologica e di riportare al centro i bisogni delle persone, anche grazie alle nuove forme di cittadinanza attiva facilitate dalla rete.
Assumono centralità il senso del limite nel consumo delle risorse naturali e il rispetto dell’ambiente; si diffondono user driven innovation, design partecipato delle soluzioni tecnologiche attraverso Living Labs ed altre metodologie. Proprio in questo orizzonte che le politiche per l’innovazione hanno la chance di diventare sempre più inclusive e sensibili alle differenze, ed è qui che si colloca il possibile l’intreccio con le politiche di genere, visto anche il protagonismo femminile, da sempre, proprio nel campo dell’innovazione sociale e della protezione dell’ambiente. Eppure, a causa di strutture sociali, economiche, culturali ancorate al passato, il sistema di governance dell’innovazione è a guida pressoché esclusivamente maschile, inevitabilmente esclude anche soggetti che siano portatori di altre differenze sociali (per etnia, età, orientamenti sessuali e identità di genere, disabilità eccetera), e quando attiva partecipazione lo fa con scarsa cura di un coinvolgimento ampio di tutte le fasce di cittadini.
Il terreno di applicazione dell’innovazione su scala urbana si focalizzerà per gli anni a venire sull’obiettivo di rendere le nostre città sempre più Smart-Intelligenti, in grado di gestire una transizione progressiva verso la minimizzazione dell’uso di combustili fossibili a favore di fonti rinnovabili. Il passaggio richiede un cambiamento di comportamenti di consumo, mobilità, e nuove modalità di gestione delle informazioni e delle enormi quantità di dati che si rendono disponibili grazie alla sensoristica diffusa e alle connessioni mobili in quella che viene anche definita “ubiquitous city”. Può una città intelligente essere cieca rispetto al contributo, alla partecipazione, ai bisogni e ai talenti di metà della cittadinanza, quella femminile?
Sulla base di queste analisi, Università Ca’ Foscari/Cisre e Stati Generali Innovazione-Wister hanno lanciato l’agenda di ricerca Smart Cities Genere e Inclusione, che si propone di elaborare indicatori qualitativi e quantitativi, di analizzare buone pratiche e metodologie, di fornire strumenti concreti a policy makers e progettisti/e, per rendere le Smart Cities inclusive delle differenze, a partire da quelle di genere.
Partito con un workshop durante l’evento finale della campagna e-Skills Week 2012, il progetto si è articolato nell’Open Talk di Bologna entro Smart Cities Exhibition 2012 e si è poi arricchito di una collaborazione con Osservatorio Donne ForumPA Futuro@alFemminile.
Il prossimo appuntamento è a Bologna, il 16 Ottobre nell’ambito di SCE 2013, dove si parlerà di smart mobility, tecnologie di videosorveglianza e crowdsourcing per prevenire la violenza urbana di genere, e-health, partecipazione e Agenda Digitale, Open Data di genere, start up femminili.
L’iniziativa si svolge anche su un piano transnazionale, a cura di European Centre for Women and Technology, che ha già raccolto su questi temi l’adesione e la collaborazione di una rete multistakeholder europea. Anche all’interno della Conferenza Europea Ict 2013 (Vilnius, 6-8 Novembre), questi temi saranno presenti, grazie alla Networking Session organizzata da Ecwt e intitolata Women in International Ict Research: Smart Cities, Gender & Inclusion.