L’opinione dei protagonisti dell’Ict italiano è concorde:
nessuno ha dubbi che per uscire dalla crisi il mondo dell’IT sia
fondamentale e che anzi debbano essere proprio le tecnologie
digitali a poter dare quella spinta in più al Paese per uscire
più forte dall’attuale situazione economica. Tuttavia, fatti
salvi alcuni punti generali e condivisi da tutti – come la
necessità di una maggior informatizzazione per aumentare
efficienza e produttività – le ricette dei protagonisti non sono
univoche.
“Come Paese – spiega Luigi Freguia, amministratore
delegato di Hewlett Packard – l’Italia ha molti
problemi. Penso sia frustrante per chiunque sapere che siamo un
membro del G8, ma che in ogni classifica che riguardi la tecnologia
siamo in ‘zona retrocessione’ perché in passato non abbiamo
saputo cogliere le occasioni”. Uno sguardo al passato, ma anche
al futuro. “Ora con l’Expo e il piano di e-Gov abbiamo nuove
opportunità – ha continuato Freguia -. Per coglierle appieno
dobbiamo mettere la tecnologia al centro così da aumentare la
produttività e ridurre i costi”.
E se Maria Grazia Filippini, Ad di Sun
Microsystems parla di “innovazione cristallizzata”,
Sergio Rossi, Ad di Oracle Italia, ricorda come in
Italia si avverta il “grande bisogno di fare sistema, ossia
mettere a fattor comune le competenze e le peculiarità dei singoli
attori, pubblici e privati”.
Giovanni Rando Mazzarino, Direttore Operations e Tecnologie
di Lottomatica, dà con un breve esempio uno spaccato del
rapporto fra PA e IT. “Il bollo auto è una tassa uguale ovunque
– ha raccontato -. Eppure, per gestirlo, le 20 regioni usano 20
protocolli diversi. È evidente che così il lavoro ha più
difficoltà a procedere. Tuttavia nella PA c’è a mio avviso la
possibilità di saltare degli step e arrivare velocemente a una
burocrazia 2.0”. Una burocrazia evoluta in grado, inquesto modo,
“di mettere al centro il cliente o il cittadino”, chiosa
Giuseppe Verrini, numero uno di Adobe. “Per
velocizzare ulteriormente il processo, in azienda così come
nell’apparato statale – sostiene Mazzarino – dobbiamo portare una
cultura del ‘fare’, premiando chi fa. E dovremmo incentivare
maggiormente chi innova, chi con l’utilizzo della tecnologia
cambia i paradigmi in cui lavora”.
Insomma, per affrontare quella che Giacomo Vaciago,
economista e presidente del Forum dell’innovazione
digitale chiama “una crisi psicologica”, servirebbero
incentivi e “un maggior coordinamento globale per combattere una
situazione globale, in modo da spingere l’innovazione, che è un
bene privato, a innestarsi nella vita comune”. Ovviamente, al
centro di tutto ci sono Internet e la banda larga.
“La centralità del web è giusta – sostiene Alberto
Lotti, direttore tecnologie di Alcatel-Lucent Italia -.
Però gli stessi protagonisti di questo mondo dovrebbero cambiare
parte della loro visione: spesso gli ‘over the top’, come
Google, continuano a pensare alla rete come un ‘tubo stupido’ e
sviluppano applicazioni senza riflettere sull’infrastruttura.
Siamo giunti a un punto in cui il modello non è più equilibrato,
perché gli Isp non possono più investire massicciamente sulla
rete e la banda inizia a non essere sufficiente. Dovremmo andare
verso lo sviluppo di una rete più intelligente”.
E su un nuovo modello di banda larga punta anche Achille De
Tommaso, Presidente di Colt Telecom e di Anfov. “Perché
l’Italia si evolva mancano le strutture fisiche. Spesso sentiamo
parlare della Cina o dell’Europa dell’est come di concorrenti;
in realtà, noi competiamo prima di tutto con paesi come Francia e
Germania – ha attaccato -. Allora lo Stato ha il dovere, prima di
tutto, di salvaguardare gli investimenti fatti dai provider, di
facilitarne di nuovi garantendo norme sicure per il loro
dispiegamento e di farlo diventare un servizio universale. Ci sono
6 milioni di persone in Italia in digital divide e questa cifra,
pari a circa il 12% della popolazione, aumenterà piuttosto che
dimagrire, perché le applicazioni richiedono sempre più
banda”.
GESTIONE PIù COORDINATA PER IL DIGITAL DIVIDE
«Le risorse per superare il digital divide? Ci sono». A dirlo è
Carlo Baldizzone, direttore strategy di Telecom
Italia. “Il problema è come sono allocate: in maniera
spezzettata, fra fondi europei, statali, regionali, comunali. Se
queste risorse fossero gestite in maniera più univoca e
coordinata, sarebbero sufficienti per superare questo problema o
per lo meno per garantire un’azione molto più incisiva”. Che
gli ex monopolisti dovrebbero e potrebbero facilitare. “Il ruolo
dell’incumbent è fondamentale – ha continuato Baldizzone -. La
banda larga è un abilitatore imprescindibile nell’economia della
conoscenza che caratterizza il mondo di oggi. Per questo noi
dobbiamo investire oggi per prepararci al venire meno delle rendite
in un domani sempre più prossimo. Oltre che con problemi di
risorse, tuttavia, l’Italia si scontra con un ritardo che più
che di rete è culturale: se non superiamo questo, resteremo
necessariamente fermi al palo”.
COMPETITIVITA' A RISCHIO CON I TAGLI
OCCUPAZIONALI
La situazione economica mondiale e le sue conseguenze
sull’economia sono sotto gli occhi di tutti». È questa la
premessa da cui Pietro Scott Jovane, Ad di Microsoft
Italia, parte per tracciare la rotta. Dobbiamo capire dove
vogliamo essere alla fine della crisi e investire per questo.
Occorre individuare rapidamente interventi di stimolo e aiuto, dove
anche l’industria informatica faccia la sua parte. Cruciali i
grandi progetti informatici come e-Gov 2012 che contiene numerosi
obiettivi il cui raggiungimento è essenziale per dare un impulso
allo sviluppo del Paese e la cui realizzazione sarà occasione per
la riqualificazione e il rilancio della stessa industria
informatica. Ma Jovane lancia anche un allarme. “Nel settore IT
esiste un rischio occupazionale che coinvolge decine di migliaia di
lavoratori qualificati: se si perdessero, l’impatto sull’intero
sistema di innovazione nel Paese e quindi sulla nostra capacità
competitiva nell’economia mondiale sarebbe terribile”.
INVESTIRE NELLE PERSONE PIU' CHE NELLE
TECNOLOGIE
La tecnologia? Sopravvalutata. Sembra questa la provocazione di
Renzo Vanetti, amministratore delegato di Sia-Ssb.
“La tecnologia è solo un abilitatore – ha spiegato Vanetti -. La
vera innovazione viene dalle persone ed è una faccenda culturale.
In Italia è mancato un processo formativo e il risultato è che ci
ritroviamo case e aziende digitali, ma una scuola analogica”. Il
prossimo passo dovrebbe essere investire con decisione nelle
persone in modo da poter garantire alla tecnologia una penetrazione
pervasiva. “Solo così anche l’innovazione potrà essere
pervasiva e darci la spinta necessaria per cambiare il modo con cui
abbiamo gestito le cose”. Anche per questo gli investimenti
devono essere ponderati e i fondi non devono cadere a pioggia.
“Non tutti hanno bisogno delle stesse cose. Bisogna trovare la
giusta misura per ogni area, mettendo comunque scuola e università
al centro per garantirci la trasformazione culturale di cui abbiamo
bisogno”.