Dopo Italia Viva tocca al Pd presentare il suo contro Recovery Plan con una corposa parte dedicata al digitale. Il principio di base, che anima tutto il documento di 10 pagine, è che per costruire l’Italia post-Covid servano meno incentivi e più risorse dedicate agli investimenti. E che, dunque, il Next Generation Eu può essere un prezioso driver per costruire un Paese più moderno, più giusto e più competitivo.
“Anche nel settore digitale va più chiaramente definito l’indirizzo strategico, in grado di orientare il mercato e di far sorgere in ambito nazionale, in relazione ai piani di sviluppo europeo, soggetti imprenditoriali in grado di operare e competere su scala globale contribuendo a preservare la sovranità digitale del nostro continente – si legge nell’incipit del capitolo dedicato alla digitalizzazione – Dobbiamo evitare che le risorse erogate contribuiscano a consolidare posizioni già oggi dominanti e compromettere il patrimonio di dati disponibili per lo sviluppo futuro del nostro sistema produttivo”.
In questo senso tra i grandi progetti che potrebbero orientare il mercato in questa direzione spiccano: la digitalizzazione della scuola, della sanità e delle città anche anche per trasformare gli spazi urbani in luoghi dove dare corpo a nuove forme di partecipazione democratica.
Attenzione particolare anche in questo caso, come per il piano Renzi, è data alla cybersecurity. “Riteniamo debba poi essere meglio chiarito lo scopo della struttura indicata della cyber security (Istituto italiano per la cybersicurezza ndr) , in particolar modo il modo in cui si relaziona e si integra con gli strumenti già oggi finalizzati alla tutela della sicurezza nazionale”.
Sul fronte del “governo” delle politiche del digitale, il Pd sottolinea la necessità di dare una “governance unitaria ai diversi interventi che parta da un’analisi delle catene del valore selezionando specifiche priorità dando così coerenza e collegando gli interventi previsti per la pubblica amministrazione, nell’ambito delle politiche industriali, della ricerca e del trasferimento tecnologico”. E a questi interventi trasversali vanno connessi grandi progetti verticali su cultura, turismo, sanità, scuola e città, coinvolgendo i cittadini e i lavoratori, i corpi intermedi, le professioni nella loro realizzazione.
Per quanto riguarda la digitalizzazione delle città, il documento evidenzia l’urgenza di un salto qualitativo, andando oltre il solo ambito dei trasporti e “guardando all’impatto complessivo che il digitale può avere nella trasformazione dei centri urbani favorendo un compiuto sviluppo della cittadinanza digitale anche attraverso forme di partecipazione alle grandi scelte che riguardano le comunità”. Il modello è quello di Barcellona dove, a partire dal 2014, l’allora Cto della città catalana Francesca Bria, attualmente presidente del Fondo nazionale Innovazione, aveva messo in campo una strategia di partecipazione attiva tramite strumenti digitali per la partecipazione democratica con l’obiettivo di sviluppare servizi in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini. Cittadini che hanno contribuito a realizzarli mettendo a disposizione i dati che hanno liberamente deciso di “donare” alla città.
Il capitolo sul digitale si conclude con un focus sugli ecosistemi di innovazione. “Investire sul digitale significa potenziare la ricerca in questo campo e nel capitale umano rapportando la connessioni tra i nuovi centri che opereranno in quest’ambito e lo sviluppo delle imprese attraverso strumenti ad hoc per il trasferimento tecnologico. Questo sarà possibile soltanto con il reclutamento di nuove energie assumendo nuovi giovani scienziati e ricercatori – si legge – Per far crescere campioni nazionali occorrono poi specifici programmi che sviluppando il rapporto con il privato siano in grado, nel rispetto della normativa europea e mediante la crescita della competitività, di far cogliere al sistema produttivo le opportunità offerte dal recovery plan. Questo sarà possibile connettendo le grandi imprese con le start up innovative e collegando e sviluppando gli ecosistemi di innovazione. Riguardo a questi ultimi è necessario indicare una strategia unitaria. Sarebbe una sconfitta per il Paese se le risorse rese disponibili fossero utilizzate quasi esclusivamente per l’acquisizione di tecnologie già esistenti rafforzando così l’attuale oligopolio dei grandi player tecnologici internazionali. I progetti dovranno partire dal presupposto che la raccolta e l’utilizzo dei dati dovrà essere improntata al rigoroso rispetto degli standard europei e finalizzata ad un loro utilizzo nell’interesse pubblico e per migliorare la competitività del sistema Paese”.