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Il drone nucleare globalizzato

Un sistema integrato a lunga autonomia, satelliti e basi a terra per abbattere ogni confine

Pubblicato il 23 Apr 2012

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Ulteriore passo avanti della tecnologia drone con la propulsione nucleare. Le guerre in corso hanno reso celebre il drone armato MQ-1 Predator, inizialmente impiegato come velivolo da ricognizione (con sigla RQ1), successivamente dotato di missili, acquisendo così la qualità “multirole”, da cui il cambio di denominazione da R a M. Il Predator esegue missioni di lunga durata, teleguidato mediante un sistema satellitare. Necessita tuttavia di basi avanzate, cioè prossime alla linea di contatto col nemico, dunque vulnerabili. Un drone più grande, l’MQ-9, usa gli stessi sistemi di terra del MQ-1, ma ha una potenza di 950 cavalli vapore, superiore a quella del Predator, consentendogli di trasportare un carico pari a 15 volte il proprio peso, volando per 14 ore. Il tempo di volo consente di arretrare la base di partenza. Se il tempo di volo si prolungasse per mesi la dislocazione delle basi si svincolerebbe dai teatri di impiego, brandeggiando l’arma aerea senza interruzione sulle regioni più remote o più prossime.

È questo l’obiettivo che si propongono l’agenzia governativa Usa Sandia National Laboratories e la Northrop Grumman, introducendo la propulsione nucleare sull’MQ-9. Northrop Grumman ha brevettato nel 1986 un reattore nucleare raffreddato ad elio, mentre i primi progetti aerei a propulsione nucleare risalgono al 1950.

Un sistema integrato di drone a lunga autonomia, satelliti e basi a terra globalizza il teatro operativo, abbattendo ogni confine. È una versione militare della globalizzazione finanziaria, già gustata con esiti poco rassicuranti e tuttavia non preoccupanti come potrebbero essere quelli alle viste coi droni nucleari.

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