FISCO

Il “lodo Google” riapre la porta alla web tax: Tesoro al lavoro

Il ministro Padoan porterà il tema al tavolo del G7 dei ministri finanziari. Step intermedio una norma transitoria da inserire nella manovrina: deputati al lavoro sugli emendamenti

Pubblicato il 08 Mag 2017

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L’accordo con Google è stato chiuso nei giorni scorsi dall’Agenzia delle entrate, mentre rimane ancora in itinere quello che coinvolge Amazon e su scala europea quello che vede di fronte Apple e l’Antitrust Ue. Nel frattempo però il Governo ha sempre più chiaro che sarà necessario mettere a punto – su scala nazionale e comunitaria – norme adeguate a un settore che finora ne è stato privo, per regolare i rapporti tra i colossi dell’online e il fisco.

Per questo potrebbe tornare in scena nei prossimi giorni l’ipotesi di una web tax, che a regime potrebbe produrre un gettito di 5 miliardi di euro, da inserire con un emendamento nella “manovrina” di correzione dei conti pubblici che è all’esame del Parlamento. “Ci stiamo ragionando – dicono al Messaggero alcune fonti del Tesoro – l’auspicio è quello id fare in tempo a inserire una norma ad hoc nel decreto”.

Tra i possibili firmatari dell’emendamento c’è il parlamentare Pd Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio della Camera: “Il caso Google – dice al quotidiano – può avvicinarci una volta per tutte a una norma transitoria che stimoli l’interlocuzione preventiva tra amministrazione finanziaria e contribuente, nell’ipotesi in cui ci si trovi di fronte a gruppi multinazionali operanti sul Web con ricavi consolidati di miliardi di euro, attraverso attività economiche in Italia che, di fatto, hanno una stabile organizzazione sul territorio nazionale”.

La questione, in ogni caso, no rimarrà limitata al contesto nazionale: il ministro dell’economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, la porterà infatti sul tavolo del G7 dei ministri finanziari dell’Unione europea che è in programma questa settimana a Bari.

Nella sua versione “transitoria” la web tax non sarebbe obbligatoria, ma scatterebbe su base volontaria: gli interlocutori dovrebbero cioè spontaneamente accettare di essere considerate come web company con struttura organizzativa stabile nel nostro Paese, iniziando così a versare non soltanto l’iva sulle transazioni, ma anche le tasse sui profitti. “Chi si tira indietro si espone al rischio – proseguono le fonti del ministero del Tesoro sul quotidiano romano – come si è visto concretamente, di attirare su di sé indagini e accertamenti con effetti imprevedibili”.

“Con una norma transitoria – conclude Francesco Boccia – in attesa delle decisioni europee che appaiono sempre più incerte, si potrebbe assicurare gettito fiscale ordinario”.

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