LA MANOVRA

Il piano Italia Cashless slitta a luglio. Conte: “Vogliamo azzerare le commissioni”

Rimandate le misure per dare sprint ai pagamenti digitali. Il presidente del Consiglio: “Abbiamo bisogno di più tempo per evitare aggravi di costi alle imprese”. La web tax esce dal Dl Fisco ed entra in legge di Bilancio: ecco perché

Pubblicato il 22 Ott 2019

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Slitta a luglio il piano Italia Cashless. Il pacchetto di misure per incentivare l’uso dei pagamenti elettronici viene rinviato di sei mesi. Il motivo lo ha spiegato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, davanti all’assemblea di Confesercenti.

“Per promuovere l’uso dei pagamenti elettronici senza penalizzare chi usa il contante o i commercianti abbiamo bisogno di tempo, vogliamo fare le cose per bene: è la ragione per cui ieri abbiamo deciso di posticipare l’entrata in vigore di questo piano a luglio del prossimo anno – ha sottolineato Conte – Vogliamo garantirci che il piano di azzeramento/riduzione delle commissioni possa essere realizzato in modo efficace per evitare che gravi su di voi con ulteriori costi”, ha assicurato ai commercianti che stimano che l’obbligo del Pos costerebbe alle piccole imprese almeno 2 miliardi di euro in più.

“Non intendiamo punire o criminalizzare alcuna categoria, né penalizzare chi usa contante – ha puntualizzato – È passato un messaggio sbagliato: nessuna conseguenza negativa per chi usa il contante, ma vogliamo premiare chi usa il pagamento elettronico, e favorire l’adozione del Pos da parte dei commercianti con una riduzione delle commissioni e stiamo lavorando con gli intermediari fianziarie. Vogliamo azzerare le commissioni per importi di ridotta entità”.

Cosa prevede il piano Italia Cashless

Si predispone un programma che prevede, tra l’altro, l’introduzione di un super bonus da riconoscersi all’inizio del 2021 in relazione alle spese effettuate con strumenti di pagamento tracciabili nei settori in cui è ancora molto diffuso l’uso del contante. Stabilita anche l’istituzione di estrazioni e premi speciali per le spese pagate con moneta elettronica e sanzioni per la mancata accettazione dei pagamenti con carte di credito o bancomat.

Nella nota di aggiornamento al Def che anticipava la Manovra si prevede un super bonus del 19% fino a 2.500 euro per le spese effettuate per via elettronici in specifici settori ad elevato rischio di evasione fiscale.

Secondo Confesercenti l’obbligo di accettare carte di credito e bancomat costerà alle piccole imprese almeno 2 miliardi di euro in più di aggravi tra canoni, commissioni sulle transazioni e costi di installazione e gestione. È quanto stima l’Ufficio economico Confesercenti in occasione dell’assemblea dell’Associazione, riunita oggi a Roma. “Dobbiamo assicurare che l’operazione a favore della moneta elettronica – sottolinea la presidente Patrizia De Luise – non graverà né sui bilanci delle imprese, né su quelli delle famiglie e che non sarà un regalo alle banche. Dobbiamo, inoltre, assicurare che ci saranno incentivi, e non sanzioni”. Confesercenti pur condividendo l’obiettivo di favorire la moneta elettronica non è convinta che possa funzionare in chiave lotta a all’evasione, secondo le intenzioni del governo. Infatti, se tra il 2012 ed il 2018 il numero di Pos attivi in Italia è cresciuto del 112%, arrivando a 3,1 milioni; e il volume delle transazioni con carte di debito è aumentato del 57%, arrivando a 33 miliardi di euro (12 in più rispetto al 2012), tale boom non ha trovato un riscontro proporzionale nel gettito derivante dalla lotta all’evasione.

”Riteniamo che una sua maggiore diffusione serva senz’altro a modernizzare il Paese – ha osservato la presidente – L’utilizzo del contante costa e costa molto: ai nostri benzinai e tabaccai comporta elevati costi in sistemi di sicurezza, in assicurazioni, in impianti di video sorveglianza. E a volte, purtroppo, in rapine che finiscono male”.

”Il Governo ha fatto la scelta giusta? Si, se ridurrà i costi della moneta elettronica – ha sostenuto De Luise – azzerandoli per i micro-pagamenti e garantendo il credito di imposta per l’installazione dei Pos. Sarebbe stato assurdo, invece, tassare il prelievo del contante: meglio incentivi anziché sanzioni”.

”Associare la moneta elettronica alla lotta all’evasione, non va bene. È un messaggio fuorviante – ha detto – se poi il Cash Back dovesse essere riconosciuto solo per determinati settori di attività, allora si darebbe proprio agli imprenditori di questi stessi settori una patente di potenziali evasori. Questo non lo possiamo accettare. Il cash back deve essere garantito erga omnes”.

Di tutt’altro avviso i consumatorori. “Inutile dare numeri a casaccio, tanto più che il Governo, nella migliore tradizione italica, ha già vergognosamente deciso l’ennesimo rinvio sulle multe per chi non accetta i pagamenticon il Pos – afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori – E’ dall’ottobre del 2002, ossia da ben 7 anni, che la legge emanata dal Governo Monti prevede l’obbligo di avere il Pos e di accettare i pagamenti effettuati con carte di debito. Mentre le sanzioni sono previste dalla legge di stabilità del 2016, ossia da quasi 4 anni” prosegue Dona. “Certo vanno anche ridotte le commissioni, su questo siamo assolutamente d’accordo, ma è incredibile ed inaccettabile che le norme già in vigore siano un optional a seconda della convenienza”.

La web tax esce dal Dl Fisco

La web tax, che non compare più nelle bozze del decreto fiscale, si sposta nella legge di Bilancio. La norma serve infatti a fare diventare operativa dal 1° gennaio l’imposta sul digitale al 3% sulle grandi aziende con più di 750 milioni di ricavi, quindi non ha l’urgenza di entrare in vigore con il decreto.

Il debutto della web tax all’italiana non convince del tutto il Cnel. Nel documento di osservazioni e proposte si evidenzia come sia, giunto, sì, giunto il momentè di intervenire su questo fronte ma con “politiche fiscali condivise e tendenzialmente omogenee per tutti i Paesi aderenti’.

“E’ necessario lavorare a una fiscalità europea condivisa, equa, efficiente, favorevole alla crescita e capace di eliminare distorsioni concorrenziali”, scrive il Cnel. Sul fronte dell’economia digitale, “le web tax nazionali comportano il rischio di una frammentazione legislativa che amplifichi quella già esistente a livello europeo in materia di tassazione del digitale. La tassazione dovrebbe essere ispirata ai principi Ocse e colpire non gli indici tradizionali di capacità contributiva (reddito e patrimonio) ma altri indicatori che stimino il valore creato con i beni/servizi digitali. Se nel termine stabilito del 2020 in sede Ocse non si pervenisse a soluzioni condivise, l’Unione europea deve porre in essere scelte autonome”. Il Cnel auspica che la proposta di una web tax universale, presentata a Washington durante i lavori del Fmi, venga discussa e approvata in tempi rapidi.

La proposta Ocse sulla web tax

L’Ocse propone di dare ai paesi due nuovi tipi di diritto di imporre una tassazione sulle aziende. Il primo riguarda le aziende del digitale e che si rivolgono direttamente ai consumatori – quindi colossi come Google, Facebook, Amazon, Apple: i singoli stati potranno tassare una quota degli utili globali di queste multinazionali. Anche se tali utili vengono oggi trasferiti in sedi esterne a quello stato, l’Ocse propone di riallocarne una parte. La base per uno stato per calcolare l’aliquota resta il fatturato generato dalla data azienda nel suo territorio.

Come ha sottolineato il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, occorre “assicurare che i grandi e redditizi gruppi multinazionali, incluse le società digitali, paghino le tasse dovunque abbiano significativi legami diretti con i consumatori e generino i loro profitti”.

In pratica, da un lato sarà il volume del fatturato a determinare il diritto di imposizione, dall’altro la proposta di riallocazione degli utili nei paesi in cui vengono realizzate le vendite prevede un sistema fondato sugli utili residuali del gruppo, anche se l’Ocse non ha definito la formula per il calcolo del residual profit.

La seconda tipologia di tassazione è per le economie emergenti dove le multinazionali vendono i loro prodotti e servizi ma spesso non hanno alcuna presenza fisica: è perciò prevista la possibilità di tassare le attività di distribuzione dei prodotti, assumendo una quota minima di guadagno realizzato sul dato mercato. Anche qui non ci sono dettagli e parametri: l’Ocse dovrà lavorare su quali siano la soglia di fatturato o dimensioni della multinazionale che fanno scattare la tassazione.

Separatamente, l’Ocse intende avanzare una proposta su un’aliquota minima di corporate tax sotto la quale non è possibile scendere.

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