Lavorare senza ufficio e guadagnare trecento ore di vita l’anno. Un sogno? No, una realtà che presto si potrebbe avverare anche in Italia. Nel suo libro “Il romanzo del telelavoro”, Guelfo Tagliavini (consigliere nazionale di Federmanager) spiega vantaggi dello smart working in termini di produttività e benessere per il lavoratore.
Il testo passa in rassegna le tappe – legislative ma anche di cambiamento culturale – che hanno portato il telelavoro al centro dei dibattito, analizzando come anche la grande crisi economica abbia naturalmente portato aziende e professionisti a ripensare il “luogo” del lavoro così come la sua tempistica e il concetto di produttività. Un capitolo ad hoc è dedicato a come lo smart working è applicato nel resto del mondo mentre riferimenti normativi italiani disegnano una panoramica sul presente e sul futuro che verrà. Particolare attenzione è dedicata alla tecnologie digitali, veri abilitatori del lavoro 2.0. Una raccolta di articoli – presenti anche le inchieste di CorCom – fa da sostegno informativo al racconto.
“Questo resoconto – spiega Tagliavini nella prefazione – vuole essere la narrazione di un’esperienza decennale vissuta con l’impegno di comprendere le nuove regole del gioco del lavoro del futuro con l’obiettivo di promuovere gli aspetti positivi che l’applicazione delle stesse possano determinare in seno alla nostra società”.
Il libro debutta in un momento importante per lo smart working all’italiana. Il ddl 4135 è infatti al vaglio della Camera, dopo aver avuto il via libera del Senato.
“Se le aziende e gli enti pubblici italiani facessero ricorso al telelavoro in percentuale analoga alla media europea, i risparmi sarebbero nell’ordine di 4 miliardi di euro – sottolinea Tagliavini – Lo smart work non è semplicemente uno strumento che consente di conciliare meglio i tempi di lavoro con le esigenze personali e familiari, ma è una modalità organizzativa per migliorare la produttività aziendale”.
Per Tagliavini il “lavoro agile” deve essere adottato senza differenziazioni: non come una fattispecie lavorativa a sé, bensì come una modalità di lavoro che interessa tutte le categorie di lavoratori, da quelli apicali a quelli meno qualificati. Con la necessità di rendere operative le politiche a sostegno di questa innovazione di processo mettendo definitivamente all’angolo le reticenze culturali che continuano a penalizzare, anche su questo aspetto, il nostro Paese nello scenario europeo.