È Fastweb l’operatore di Tlc italiano il cui valore del brand risulta più in crescita: è quanto emerge dal Brand Finance Italy 50, la classifica annuale sui 50 principali marchi italiani ordinati sia per valore finanziario sia per la forza con cui influenzano le scelte dei consumatori. La telco guidata da Alberto Calcagno guadagna il 3,3% nell’anno della pandemia. A seguire WindTre, anch’essa in crescita rispetto alla classifica pre-pandemia, con un +2,5%. Va male invece per Tim che addirittura segna un -21,9% anche se l’azienda guidata da Luigi Gubitosi figura nella top ten dei brand ordinati per valore di trademark.
In generale, si evince dal report, i 50 top brand italiani a causa del Covid hanno perso complessivamente il 12% di valore del trademark, attestandosi complessivamente a 125 miliardi, meno della metà dei 50 principali brand francesi.
Gucci al primo posto ed Enel al secondo dominano la classifica dei brand che originano più valore finanziario da immagine & reputazione. Ferrari supera Eni in termini di valore finanziario salendo così in terza posizione. In forte crescita di valore Barilla, Nutella e Valentino. Giù Parmalat, Maserati e Bottega Veneta. E sono solo 7 i brand italiani che risultano fra i 500 maggiori del mondo.
“I brand italiani che hanno una rilevanza globale sono troppo pochi. In un mercato caratterizzato da una forte tendenza verso la commotizzazione, la scarsità di marchi importanti non favorisce la crescita del paese. Infatti è noto e intuitivo che un brand con una buona immagine & reputazione favorisce l’incremento del volume delle vendite e dei margini rispetto a un prodotto anonimo o con un’immagine debole”, sottolinea Massimo Pizzo, managing director di Brand Finance. “Fino ad oggi la maggior parte delle imprese italiane hanno focalizzato gli investimenti sulla qualità del prodotto, ma nel mercato attuale e futuro sarà sempre più difficile essere attraenti solo per la qualità; infatti la tecnologia favorisce sempre di più la diffusione di qualità elevata. Oggi i consumatori sono sempre più attratti da brand che non si limitino ad esprimere qualità e sostenibilità del prodotto, ma da brand in grado di ingaggiare i clienti con una motivazione in grado di ispirarli. La qualità del prodotto non è certo vista come un valore aggiunto, il prodotto deve comunque funzionare bene; stesso discorso per la sostenibilità o per l’etica, sono caratteristiche necessarie ma non più sufficienti per fidelizzare i clienti. L’esperienza della pandemia ha accelerato l’esigenza in tutti noi nel cercare motivazioni più profonde in tutto ciò che facciamo. Molte grandi imprese italiane hanno compreso l’importanza nell’identificare e codificare uno scopo aziendale che non si limiti al profitto, ma che sia in grado di catalizzare l’attenzione e la fidelizzazione dei clienti”.