L’Italia si piazza al 22mo posto per innovazione. E svetta addirittura al quarto posto se la lente si stringe sulla voce “distretti imprenditoriali d’eccellenza” e al nono posto per “istituti di ricerca di qualità”. È questo il risultato che emerge dalla classifica mondiale 2018 sulla competitività stilata dal World Economic Forum. Un risultato che mostra uno scenario “inedito”e persino soprendente se si considera che il nostro Paese è il più delle volte annoverato in coda alle classifiche internazionali sul fronte dell’innovazione.
La “svolta” si deve a un’importante rivisitazione dei parametri di competitività presi in esame dal Wef: gli indicatori di analisi sono stati per la prima volta aggiornati e rivisti tenendo conto della quarta rivoluzione industriale. E non a caso la classifica è stata ribattezzata “Global Competitiveness Index 4.0”.
Se è vero che nella classifica globale che prende in esame 140 economie mondiali l’Italia, con 71 punti (fatto 100 il massimo livello), non si muove dalla 31ma posizione, è anche vero – ed è questa la novità più importante – che all’esame delle specifiche voci si registrano performance in molti casi in salita. Al netto delle debolezze strutturali, in primis il debito pubblico (voce che ci vede al 60mo posto) il quadro macroeconomico viene giudicato positivamente e ci sono ampi margini di azione per migliorare il quadro: sulla base dei nuovi indicatori nella classifica europea ci piazziamo al 17mo posto e se è vero che restiamo il Paese con il tasso di crescita più basso è anche vero che il Pil – con un tasso di crescita dell’1,5%- ha registrato il livello più alto dal 2008.
Gli analisti sostengono per aumentare la prosperità, il Paese “dovrebbe fare leva sui suoi vantaggi competitivi e far fronte alle sue debolezze”. E nell’analizzare la lista delle debolezze emerge chiaramente che è sul fronte delle competenze che è necessario recuperare fortemente terreno: la formazione del personale risulta arretrata, al punto da vederci al 140mo posto e le competenze della forza lavoro non sono sufficienti, tant’è che figuriamo al 40mo posto. Siamo nel gruppo di coda, al 104mo posto anche sul fronte delle imprese “dirompenti” e ci piazziamo al 40mo posto in termini di dinamismo di impresa.
Gli investimenti nel capitale umano sono considerati la chiave – insieme con le più generali voci relative alla tassazione e alle cosiddette reti di salvataggio – per risalire la china e a migliorare le condizioni macro-economiche in particolare in quei Paesi che più degli altri hanno subito in negativo l’impatto della globalizzazione. Favorire il protezionismo è invece sconsigliato poiché si rischia di aumentare le disparità e persino di compromettere il livello di competitività-Paese. Da non sottovalutare la partita dell’innovazione della Pubblica amministrazione che fa il paio con la vulnerabilità del sistema finanziario. Il miglioramento della competitività italiana “dipende in primo luogo dalla modernizzazione del suo sistema finanziario e della sua amministrazione pubblica”, si legge nel report. La scarsa performance in questi ambiti si traduce “in insufficienti risorse per finanziare gli investimenti innovativi e in una burocrazia soffocante”.
Sono gli Stati Uniti ad essersi aggiudicati, con 86 punti, il primo posto nella classifica mondiale 4.0: anche in questo caso si tratta di una novità che spariglia le carte considerato che il Paese aveva perso il primato della competitività dal 2008. I nuovi parametri “digitali” hanno dunque modificato non poco la classifica mondiale aprendo nuovi scenari di riflessione e dibattito. È alto però l’alert degli analisti in considerazione dei dazi imposti dall’amministrazione Trump che potrebbero impattare sul posizionamento futuro del Paese. Da evidenziare anche il posizionamento della Germania: con 82,8 punti si piazza al terzo posto nella classifica mondiale (al secondo c’è Singapore con 83,5 punti), ma il Paese europeo risulta primo al mondo per capacità di innovazione.
THE GLOBAL COMPETITVENESS REPORT 2018