Le imprese (ma anche non poche PA) già da tempo hanno compreso che guardare solo alla Fattura è miope, limitato e sterile. Una posizione, questa, da sempre sostenuta anche dall’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano.
Abituare le imprese – a cominciare dai fornitori della PA, attraverso la cogenza dell’obbligo normativo – a emettere documenti in formato elettronico strutturato, magari appoggiandosi a intermediari tecnologici capaci di gestire anche gli altri documenti del ciclo dell’ordine (ordini, conferme d’ordine, avvisi di spedizione, documenti di trasporto, notifiche ricezione merci, stati avanzamento lavori, …) rappresenta il “primo passo” per stimolare il cambiamento verso la digitalizzazione nelle relazioni di business.
Facciamo alcuni esempi concreti.
Le imprese più grandi e strutturate possono oggi pensare di chiedere ai propri fornitori di veicolare loro fatture in formato elettronico strutturato dal momento che molti di questi fornitori sono anche fornitori della PA e quindi già si sono messi nelle condizioni (in autonomia oppure appoggiandosi a un provider tecnologico) di saperlo fare. E ricevere fatture in formato elettronico strutturato, quale che sia la sintassi del tracciato, abilita importanti risparmi sia nei tempi per la registrazione e la riconciliazione delle fatture sia nei costi assorbiti dalle attività a minor (o nullo) valore aggiunto quali l’inserimento dati a sistema (o data entry), con evidenti impatti positivi sul conto economico delle imprese.
Nei fornitori della PA più strutturati (ovviamente questo discorso non si applica ai singoli professionisti o agli artigiani delle ditte individuali che pure rappresentano la larghissima maggioranza tanto dei fornitori della PA quanto dell’ecosistema produttivo del nostro Paese) si possono innescare riflessioni sull’opportunità di ampliare la digitalizzazione ad altri documenti del ciclo dell’ordine, in modo da poter incamerare a propria volta dei benefici di efficienza (aumento di produttività e minori costi) ed efficacia (riduzione dei tempi e maggior qualità delle informazioni) con riferimento ai documenti che si ricevono: dagli ordini di vendita, nel ciclo attivo, alle fatture o agli avvisi di spedizione o ai documenti di trasporto, se si guarda al ciclo passivo. Questa consapevolezza – talvolta autentica epifania – è sicuramente più complessa e probabilmente più lenta, ma è già in essere e trova spesso la propria fattibilità nel ruolo chiave ricoperto oggi dai provider tecnologici che, con la propria offerta, supportano non solo la fase di fatturazione attiva bensì l’intero ciclo dell’ordine (o comunque porzioni più estese dello stesso).
Fenomeno analogo si può riscontrare anche guardando alla gestione degli archivi a rilevanza giuridico-fiscale: la Fatturazione Elettronica verso la PA impone anche l’adozione di soluzioni di Conservazione Digitale, portando quindi gli ormai oltre 650.000 fornitori della PA stessa a “porsi il problema” della Conservazione Digitale, che se a un primo acchito può sembrare un processo complesso e oneroso in realtà è semplicemente un modo diverso – più sicuro, efficace e soprattutto economico rispetto al cartaceo – di gestire i propri archivi fiscali. È evidente che i documenti per cui è opportuno valutare l’adozione di una soluzione di Conservazione Digitale non si limitano certo alle sole Fatture verso la PA. E, se è per questo, nemmeno alle sole Fatture. Basti un dato: nel 2013, ossia l’ultimo anno prima dell’entrata in vigore dell’obbligo di Fatturazione Elettronica verso la PA, erano oltre 100.000 le imprese che portavano in Conservazione Digitale i propri Libri e Registri contabili (a fronte di circa 5.000 imprese che adottavano la medesima soluzione con riferimento alle proprie Fatture). E oltre a Fatture, Libri e Registri ci sono anche i Documenti di Trasporto, i Contratti etc. ossia tutti quei documenti a valenza giuridico-fiscale che le imprese sono tenute a conservare per anni (si pensi, per esempio, al caso peculiare dei contratti di apertura del conto corrente bancario, che devono essere conservati dagli istituti di credito per tutta la durata del rapporto di conto corrente e ulteriori 10 anni dall’eventuale chiusura del conto corrente stesso…).
In sintesi, cerchiamo di non avere paura dell’innovazione e delle sue ripercussioni: Conservare in Digitale è fattibile, semplice e in molti casi, soprattutto per volumi importanti, particolarmente economico. Assecondare posizioni per cui la Conservazione Digitale è un costo – mentre prima era tutto gratuito (?!?) – è uno stimolo distorto, almeno quanto sbagliato. Stimolare “riflessioni digitali” esclusivamente sulle Fatture (o, ancora peggio, solo sulle Fatture verso la PA) rischia di essere sterile, come approccio. Cogliere l’occasione della Fatturazione Elettronica per rivedere i propri processi di ciclo attivo e passivo per ridurne la complessità, può invece aprire a opportunità interessanti e creare differenziali competitivi abbattendo costi spesso stratificatisi nell’organizzazione e nemmeno più percepiti.
*Associate Partner – P4I – Partners4Innovation
** Co-Direttore Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione. Osservatori Digital Innovation – School of Management Politecnico di Milano