IL REPORT

In calo il mercato italiano dei media. E Internet non compensa le perdite

Osservatorio Internet Media, School of Management Polimi: decrescita in atto nel comparto. La Tv fa ancora la parte del leone. Rallenta la corsa della pubblicità online, Giuliano Noci: “Ma è tutta nelle mani degli Ott”

Pubblicato il 11 Giu 2019

internetmedia

Mercato dei media italiani ancora in flessione: a fine 2018 è diminuito del 2% e anche la prima stima per il 2019 indica un’ulteriore contrazione del 2% che porterà il comparto al di sotto dei 15 miliardi di euro. Ma anche la pubblicità su Internet non se la passa bene: i primi risultati evidenziano una crescita più bassa degli ultimi anni e che potrà essere al di sotto del 10%. Il mercato complessivo si assesterà sui 3,2 miliardi di euro. “E’ un mercato concentrato nelle mani di pochi player – dice Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano -: la componente in mano agli Ott è del 75% nel 2018 e crescerà almeno di un punto percentuale nel 2019. Inoltre, la pubblicità gestita da questi attori è l’unica che cresce: cala del 3%, a fine 2018, la raccolta che non passa da motori di ricerca, social e altri ecosistemi internazionali”.

La fotografia dei media emerge dai dati presentati dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano – in occasione del convegno “Internet Media: alla conquista degli altri mezzi” – secondo cui il quadro italiano si presenta in forte trasformazione. La Tv fa ancora la parte del leon raccogliendo il 54% del mercato, seguita da stampa (22%), Internet (21%) radio (3%), ma già dal prossimo anno l’intero comparto Internet (pubblicità e vendite online) potrebbe superare tutto il settore della stampa (pubblicità e vendita di copie cartacee).

Il mercato complessivo delle vendite di contenuti media in Italia nel 2018 vale 7,1 miliardi (-8%), mentre la componente derivante da Internet è ancora marginale (4%) ma in forte crescita (Video online +46%, musica in streaming +37%).

Il 19% della popolazione Internet italiana utilizza servizi Svod rispetto all’8% di 12 mesi fa, le cui vendite rappresentano il 65% dei ricavi degli Internet media a pagamento. Seguono i ricavi per gli abbonamenti a servizi musicali (il 20% del mercato) e i ricavi legati alle news (15%). E questo, nonostante la diffusione dei servizi Svod in Italia sia andata più a rilento rispetto agli altri grandi paesi europei. La diffusione ha registrato però un grosso incremento nell’ultimo anno. Si stima che già nel 2019 il numero di sottoscrizioni possa superare quello degli abbonamenti a PayTv. Nei prossimi anni, inoltre, la banda ultralarga e l’avvento del 5G potrebbero ulteriormente migliorare l’user experience e, in seconda battuta, anche incrementare il numero di utenti abbonati a questi servizi.

“Tra i comportamenti abituali dei consumatori aumenta la propensione ad utilizzare come prima variabile di scelta il programma di proprio interesse che si vuole seguire, indipendentemente dalle modalità con cui viene trasmesso: predilige questa modalità più della metà del campione – dice Antonio Filoni, Head of Digital Offering di BVA Doxa -. Che la ‘fine dello zapping’ sia vicina, emerge su tutte le fasce di popolazione ed è in crescita ovunque rispetto alla stessa rilevazione dello scorso anno”. Tra i motivi per cui un abbonamento non viene rinnovato, emerge per quanto riguarda la PayTv, il costo ritenuto eccessivo. Per quanto riguarda l’offerta Svod invece, prevale lo scarso gradimento del tipo di contenuti.

Il calo del mercato media è dovuto in larga parte alle componenti media a pagamento (-8% nel 2018 e in previsione -5% circa anche nel 2019). La componente pubblicitaria è invece aumentata del 4% nel 2018 ed è prevista stazionaria nel 2019.

Sul fronte pubblicitario, il valore a fine 2018 era di 8,2 miliardi di euro con l’Internet advertising a rappresentare il 37% del totale. Per quanto riguarda invece la componente a pagamento, che valeva 7,1 miliardi di euro, nel 2018 rimangono predominanti il fatturato di Tv (62% del totale) e stampa (34%), mentre la componente legata ai mercati online, seppur in forte crescita, vale solo il 4%.

In crescita il Display advertising (14%) che vale complessivamente quasi 1,9 miliardi di euro. La componente video ha quasi raggiunto la metà (47%) del totale display e nel 2019 supererà la raccolta derivante dai banner. In aumento anche il Search advertising (l’acquisto di visibilità all’interno dei motori di ricerca) con il +9%: per il 2019 è prevista un’ulteriore crescita, ma inferiore a quella registrata negli ultimi anni.

Pc e smartphone raccolgono la stessa quota di investimenti pubblicitari (48% e 47/, rispettivamente). Gli investimenti su Tablet (solo App) valgono solo il 5%. “Il canale mobile nel 2019 supererà quasi certamente la raccolta su desktop – dice Andrea Lamperti, direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano -, è infatti ormai ritenuto impensabile per le aziende escludere lo smartphone dalle pianificazioni pubblicitarie”.

Ma non è solo il mobile a “spingere” il digitale. “Il modello Internet si sta sempre più affermando anche al di fuori dell’online, all’interno dei Media più tradizionali e anche dei canali esclusivamente pubblicitari, cambiando le logiche di vendita di spazi e contenuti, modificando i KPI di misurazione e trasformando ovviamente anche i confini delle nostre quantificazioni” continua Lamperti.

In questo scenario diventa strategico misurare l’impatto dell’online per le aziende italiane: la quasi totalità dei maggiori investitori ha compreso come la capacità di misurare il contributo dell’online advertising alle performance di marketing e di business sia indispensabile per progettare adeguatamente e interpretare compiutamente le iniziative di marketing e comunicazione.

Da una ricerca estensiva su un campione di 105 imprese top spender in advertising emerge – dice Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano – come le imprese dedichino la maggior parte del budget di online advertising – il 60% in media – ad iniziative di durata definita (le classiche campagne di comunicazione), a fronte di un 40% dell’investimento mediamente destinato ad iniziative always-on appartenenti a diversi settori e operanti in Italia”.

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