E’ partito il conto alla rovescia per la presentazione dei piani di razionalizzazione delle partecipate pubbliche, escluse le quotate. Entro il 30 settembre le amministrazioni, in primis gli enti locali, sono tenute a una ricognizione per individuare quelle da eliminare, in base ai criteri della riforma Madia. Saranno eliminate le in house che non riguardano servizi d’interesse generale, con fatturati minimi nel triennio precedente, sotto i 500mila fino al 2019 e sotto il milione a partire dal 2020, o con più amministratori che dipendenti. Nel caso di partecipazioni regionali o delle Province autonome di Trento e Bolzano, una deroga permette l’esclusione di singole società dall’ambito di applicazione della disciplina con provvedimento motivato del Presidente della Regione o della Provincia.
Anche la tipologia di società da tagliare viene ridotta: le PA possono acquisire o mantenere partecipazioni in aziende che producono energia da fonti rinnovabili, servizi di interesse economico generale fuori dall’ambito territoriale della collettività di riferimento, a pattto che ottengano l’affidamento del servizio tramite gare pubbliche.
I ritardatari vanno incontro a sanzioni pecuniarie (fino a 500mila euro) o alla perdita dei diritti sulla società. La direzione VIII del dipartimento del Tesoro sarà “la struttura competente per il controllo e il monitoraggio” del riordino delle partecipazioni pubbliche. Il decreto del ministero dell’Economia affida le competenze a due uffici: uno definirà le linee guida per l’applicazione delle nuove regole e il secondo vigilerà sull’effettivo rispetto dei criteri anche con “verifiche a campione”.
Il ministero a fine giugno aveva annunciato l’avvio delle operazioni, con la possibilità da parte delle PA di comunicare al Tesoro, sull’apposito portale dotato di nuove funzionalità ad hoc, l’esito della revisione straordinaria delle proprie partecipazioni, ovvero il piano di razionalizzazione o valorizzazione che intendono mettere in campo. Il sistema dedicato resterà aperto per l’invio delle comunicazioni fino al 31 ottobre, fermo restando l’obbligo per gli enti di adottare i provvedimenti motivati di ricognizione entro la scadenza del 30 settembre 2017.
C’è poi un anno di tempo, dalla conclusione della ricognizione, per effettuare le eventuali alienazioni. La collocazione della cabina di regia sulle partecipate, viene precisato nel decreto, assicurerà “la separazione, a livello organizzativo, tra la suddetta struttura e gli uffici responsabili dell’esercizio dei diritti sociali”. Proprio per centrare l’obiettivo, si spiega, la scelta è ricaduta sulla direzione che si occupa della “valorizzazione dell’attivo e del patrimonio pubblico” ed “è competente in materia di rilevazione e monitoraggio delle componenti dell’attivo delle pubbliche amministrazioni”.
Un ufficio si occuperà all’elaborazione di “orientamenti e indicazioni concernenti l’applicazione” del Testo Unico sulle partecipate, targato Madia, concentrandosi anche sulla trasparenza, con “analisi a campione dei bilanci e degli altri documenti obbligatori”. L’altro ufficio sarà competente per il “monitoraggio sull’effettivo adeguamento delle amministrazioni pubbliche e delle società a partecipazione pubblica alle disposizioni” del riordino. E svolgerà l’analisi “dei provvedimenti e dei piani di revisione straordinaria e di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, nonché verifica a campione dell’attuazione dei medesimi”.
Stando ai Rapporti annuali del ministero dell’Economia, comunque, il 61,2% delle partecipate pubbliche ha meno di 10 dipendenti (il 23,8% non risulta addirittura avere addetti). Per quel che riguarda il fatturato, invece, il rapporto scritto dall’allora commissario alla spending review Carlo Cottarelli (sempre sulla base dei rapporti annuali Mef) ha calcolato che il 34,6% delle partecipate si ferma sotto al milione, mentre un altro 34% (in maggioranza società piccole o piccolissime, presumibilmente) non aveva comunicato dati. Insomma, i pochi fari nella nebbia permettono di indicare che i parametri dimensionali mettono a rischio intorno al 60% delle partecipate, cioè circa 5mila su 8mila.