“Il prossimo Governo faccia fare al tema ‘innovazione digitale/trasformazione dell’economia’ un salto di priorità. E cioè che il tema sia presente nell’agenda del Consiglio dei ministri in modo costante”. L’appello arriva dal presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania.
L’Italia si avvicina all’appuntamento elettorale. Cosa chiedono le aziende alla politica e più specificamente al governo che verrà?
Oggi la nostra profonda preoccupazione è che la spinta della leadership pubblica e privata possa, in questo periodo di transizione politica, perdere potenza, visione, determinazione. Abbiamo visto come nell’ultimo anno e mezzo la discesa in campo del Governo e di Confindustria abbia fatto la differenza, innescando nel tessuto produttivo del Paese una serie di iniziative importanti a sostegno dell’innovazione digitale. Quindi, ciò che innanzitutto chiediamo alla politica tutta è di non abbassare l’attenzione sul tema del digitale. Di rendersi consapevole che non ci possiamo permettere fasi di stallo e che fermarsi vorrebbe dire in realtà tornare indietro. Stiamo ridisegnando l’economia italiana, ma siamo solo all’inizio. Abbiamo di fronte a noi una montagna da scalare e per non arretrare abbiamo bisogno di continuità della leadership che deve mantenere il digitale al centro della politica economica e sviluppare le iniziative positive in campo. Anzi di più. Ci aspettiamo che il prossimo Governo faccia fare al tema “ innovazione digitale/trasformazione dell’economia” un salto di priorità. E cioè che il tema sia presente nell’agenda del Consiglio dei ministri in modo costante, con un’ossessiva sana preoccupazione e responsabilità di Governo sull’attuazione dei grandi progetti di digitalizzazione del Paese. E’ questa la via per fare dell’innovazione il motore della crescita economica, occupazionale e di trasformazione della PA.
A proposito di PA, sul fronte Agenda digitale il commissario Piacentini ha ridato slancio a progetti chiave, Anpr in testa. Ma la PA marcia disunita, con eccellenze che si affiancano ad enti che non riescono a fare il “ grande salto”. Che fare concretamente per cambiare passo?
Quattro passaggi chiari e decisivi, tutti ugualmente importanti. Primo sul piano delle responsabilità. Vanno identificate senza ulteriori incertezze le responsabilità dei processi e progetti di trasformazione digitale nelle PA. Oggi non c’è chi, in modo uniforme nelle amministrazioni, possa rispondere dell’attuazione dei progetti, dei tempi, dei risultati. Non si può lasciare alla buona volontà dei singoli, quando non a circostanze casuali, la realizzazione di iniziative destinate ad avere grande impatto sulla vita civile, come per esempio l’adesione dei Comuni a Anpr. La prima mossa dunque è la nomina di un responsabile digitale, un Chief Digital Officer in ogni amministrazione, centrale e locale. Allo stesso tempo bisogna definire con chiarezza il chi fa cosa, fra amministrazioni centrali e locali. Individuare le diverse responsabilità dando chiari indirizzi attuativi. Dobbiamo porre fine alla farraginosità, alla sovrapposizione, allo spreco di risorse, alle lentezze, che derivano dalla mancanza di un vero ed efficace coordinamento fra centro e periferia. Una PA che si trasforma secondo una dinamica a macchia di leopardo non fa che approfondire le situazioni di digital divide nel Paese. Secondo sul piano delle capacità di progetto. Occorre mettere in campo, da subito, un lavoro capillare regione per regione per aiutare gli enti locali ad accedere ai fondi e agli strumenti contrattuali , alcuni già disponibili, per realizzare i progetti di trasformazione digitale. Non è un problema di risorse finanziarie, paradossalmente. Comuni e altri enti territoriali costituiscono la principale interfaccia dei servizi pubblici alle imprese e ai cittadini. Devono essere messi nelle condizioni di acquisire competenze, risorse, progettualità innanzitutto per aderire alle grandi piattaforme nazionali digitali previste dal Piano triennale. E poi per andare avanti nella produzione di nuovi servizi, di nuovi capacità gestionali del territorio. Su questo l’affiancamento pubblico privato è essenziale e può essere determinante. Terzo sul piano delle competenze direttive. Iniziare senza indugio il programma formativo digitale della dirigenza pubblica, in frigorifero da almeno tre anni. I dirigenti di 1 e 2 fascia in 12 -24 mesi devono acquisire competenze digitali ed organizzative. La trasformazione digitale, infatti, è prima di tutto un tema di visione e di strategie “disruptive” degli asset esistenti e che innovano completamente i processi, le competenze, il modo di concepire ed erogare i servizi pubblici. Per questo si creano resistenze in chi è abituato da anni a gestire le cose nello stesso modo. Troppi dirigenti pubblici oggi hanno paura di investire in innovazione perché non conoscono le tecnologie, perché non hanno le capacità per gestire il cambiamento dei processi e perché non hanno coraggio di andare oltre i limiti dei procedimenti burocratici. Le procedure di acquisto pubblico dell’innovazione, ad esempio, sono obsolete. Occorre cambiare paradigma. La trasformazione digitale non si acquista “un tanto ad ore”, si progetta insieme, pubblico e privato, attraverso procedure di partecipazione aperta, di “open innovation”. Per far questo occorre una visione, che si costruisce soprattutto con le competenze del management della Pubblica amministrazione. Quarto il “switch-off”, per stringere sui tempi. La trasformazione digitale della Pa deve diventare norma inderogabile. Quasi 30 miliardi di euro, circa 2 punti di Pil: tanto costa al Paese l’inefficienza del sistema pubblico. Certo la Pa è macchina complessa, ma il ridisegno dei processi e la loro digitalizzazione sono l’unico modo per fare vera spending review e vera efficienza. Dunque stiamo parlando di una trasformazione strategica per il Paese. Il mio parere è che si debba passare a una logica di switch off, come è successo con la fatturazione elettronica. Bisogna mettere nero su bianco date, tempi, modalità di adesione delle Pa alle applicazioni a più alto impatto per cittadini e imprese, a partire da Anpr, Spid, PagoPA.
Abbiamo fatto grandi passi avanti sul fronte Industria 4.0. Il piano Calenda ha aperto una strada, ora cosa resta da fare per rendere l’Italia leader nella smart manufacturing?
A livello politico bisogna mantenere e rafforzare il carattere strutturale delle iniziative di sostegno e incentivo all’adozione di nuove tecnologie, che hanno dimostrato di funzionare: Industria 4.0, voucher per le Pmi, credito d’imposta per la formazione, legge Sabatini. Abbiamo bisogno di poter contare su una continuità almeno quinquennale di queste misure per registrare un incremento degli investimenti tale da consolidare la ripresa e incidere sull’andamento del Pil. Sul territorio bisogna rendere l’azione dei Digital Innovation Hub, giunti ormai a 23 soggetti nelle diverse regioni italiane, un fattore sistemico di spinta verso l’innovazione e la crescita di competitività. Ciò è possibile superando le modalità tradizionali di trasferimento tecnologico, ormai del tutto inadeguate, attraverso un modello collaborativo e trasversale che impegna in prima linea il sistema delle imprese, le amministrazioni locali, i poli di ricerca. Per questo è importante che venga completato e reso operativo al più presto il programma dei Competence Center. Infine vorrei indicare la necessità di dare dignità progettuale agli accordi fra Italia, Germania, Francia per consentire un’efficace circolazione delle esperienze e best practices nel campo di Industria 4.0, del trasferimento tecnologico, delle start up.
La digital transformation ha fame di competenze. Gli ultimi dati Istat evidenziano un livello di occupati più alto degli ultimi 40 anni. Però non cresce la qualità del lavoro, dato che l’aumento riguarda soprattutto figure non specializzate: la conseguenza è che le aziende digitali non trovano lavoratori adeguati alle loro richieste. Cosa non funziona nel sistema dell’istruzione?
Lo sviluppo di Industria 4.0 dipende in larga misura dall’evoluzione del nostro sistema formativo che deve essere messo in grado di accompagnarne le trasformazioni. E’ questa una priorità su cui deve elevarsi il sentimento di urgenza . Gli obbiettivi sono chiari:vanno raggiunti nel prossimo triennio. Fra questi, il passare dagli attuali 8.000 a 24.000 i diplomati annui Its con competenze digitali e dai 7.500 laureati annui in discipline Ict ad almeno 15.000. Dobbiamo assicurarci che i 500mila ragazzi che si diplomano ogni anno nelle nostre scuole superiori siano in possesso delle competenze digitali di base. Infine, alle oltre 270mila matricole universitarie devono essere offerti corsi di competenze digitale avanzate.
Che ruolo possono svolgere le imprese?
Il ruolo attivo delle imprese sta nello sviluppo delle partnership con gli Its e con l’Università per la formazione dei nuovi profili e nell’ampliamento delle esperienze di alternanza di scuola-lavoro. Ma anche qui, di nuovo, tempi certi e responsabilità chiare. Altrimenti rimarranno questi i temi di cui lamentarsi nei prossimi convegni.